Cultura

Credito. I risultati di una ricerca. L’impresa sociale non sta in banca

Troppo bassa la domanda di credito, un’attitudine troppo timida all’investimento.

di Francesco Agresti

I soldi ci sono ma bisogna meritarseli, non solo presentando progetti validi ma anche facendo parte di una rete o di un consorzio di organizzazioni. Uno dei meriti dello studio La finanza specializzata per il Terzo settore, curato dal Centro ricerche sulla cooperazione dell?Università del Sacro Cuore e realizzato in collaborazione con alcuni centri di ricerca e col contributo di BancaIntesa, è senza dubbio quello di aver sfatato un ?mito?: non è vero che le banche non sono disposte a prestare denaro alle organizzazioni del Terzo settore. è che queste spesso non ne fanno richiesta o quando la fanno non sempre mostrano di meritarlo. Lo studio, presentato nei giorni scorsi a Roma, è stato condotto su un campione di circa 130 organizzazioni (cooperative sociali, fondazioni e associazioni) con più di 10 dipendenti, con l?obiettivo di analizzare il funzionamento del mercato del credito nei confronti del terzo settore. “I dati mostrano che non esiste una domanda di credito da parte delle organizzazioni del Terzo settore che non trovi risposta nelle banche”, spiega Gian Paolo Barbetta, professore di Economia politica alla Cattolica e direttore del Crc. “C?è piuttosto una modesta attitudine all?investimento da parte del non profit e sono relativamente pochi i progetti che le stesse organizzazioni giudicano meritevoli di essere realizzati. Anche la parte del campione più dinamica, quella della cooperazione sociale, ha tassi di investimento modesti e un livello di redditività più alto che gli consente, almeno in parte, di autofinanziare la crescita e trovare risorse presso i soci e, solo marginalmente, presso le banche, in particolare presso il sistema creditizio tradizionale”. Il buon modello Bcc Quest?ultimo sembra essere quello al quale le organizzazioni fanno maggiormente ricorso rispetto alle banche di credito cooperativo. “Ciò è dovuto principalmente a una diffusione più capillare sul territorio da parte della banca ?tradizionale? e non a una questione di merito”, spiega Barbetta, ” poiché i rapporti con le Bcc sono giudicati molto positivamente, segno che il credito cooperativo ha maturato una specializzazione complessiva nel rapporto con le organizzazioni non profit”. “Le banche culturalmente più vicine al Terzo settore”, sottolinea Cristina Schena, professoressa di Finanziamenti di aziende all?università dell?Insubria e coautrice della ricerca, “sembrano infatti avere un diverso modo di valutare il rischio, si sforzano di ridurre l?onerosità del credito concesso chiedendo però livelli di garanzie pari a quelli richiesti dalle banche tradizionali”. Nonostante la disponibilità del sistema creditizio, permangono problemi di comunicazione che spesso causano incomprensioni e mancati affidi. Ci sono organizzazioni che lamentano difficoltà a ottenere finanziamenti a tassi ritenuti ?giusti? o sopportabili, altre un eccesso di garanzie anche personali richieste agli stessi amministratori. C?è chi, invece, segnala una scarsa capacità del sistema bancario di utilizzare indicatori validi nel selezionare i progetti di investimento. “C?è un?apertura, una disponibilità di massima del sistema bancario”, prosegue Schiena. “Non c?è un problema di quantità del credito a disposizione, il problema semmai è quello di fare in modo che le due parti si conoscano e si comprendano. Nelle banche tradizionali persiste un problema di valutazione dei progetti presentati dalle organizzazioni”. Come migliorare Ma come è possibile migliorare i rapporti tra non profit e banche e aumentare così il credito erogato? “Bisogna investire in capacità progettuali”, consiglia Barbetta, “studiare meccanismi e forme di aggregazioni in rete. Ci sono banche che iniziano a utilizzare la partecipazione a reti di imprese e a consorzi come un indicatore di affidabilità. Far parte di un gruppo significa essere sottoposti a un controllo ?tra pari?, che viene esercitato dalle stesse imprese consorziate perché il default di una può avere ripercussioni sulla credibilità di tutte le altre”. “Le banche”, conclude Schena, “devono approfondire la conoscenza del non profit e mettere a punto parametri di valutazione adeguati alle caratteristiche di questo settore”. Ed ecco un po? di numeri rivelati dalla ricerca. Al non profit non piace avere debiti. Preferisce far fronte alle esigenze di cassa e agli investimenti ricorrendo ai mezzi propri e solo in pochi casi al capitale di credito. La metà delle organizzazioni vagliate dai ricercatori ha dichiarato di non avere problemi di tesoreria, il 43% presenta difficoltà saltuarie e solo il 5% è alle prese con difficoltà sistematiche. Alle difficoltà di cassa si fa fronte con ritardi nei pagamenti ai fornitori e in alcuni casi con ritardi nel pagamento delle retribuzioni. Lo strumento finanziario più diffuso è il conto corrente: ogni organizzazione ne ha almeno tre. I finanziamenti a breve avvengono attraverso aperture di credito (88%) e anticipi salvo buon fine (68%). A lungo termine nel 70% dei casi si fa ricorso al mutuo, utilizzato soprattutto per l?acquisto di automezzi e attrezzature. Negli altri casi si fa ricorso a crediti agevolati previsti da leggi specifiche e dal leasing finanziario. Al momento della rilevazione la metà del campione non aveva in corso alcun tipo di finanziamento a breve e il 52% ha dichiarato di non fare uso di alcuna tipologia di finanziamento a medio-lungo termine.


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