Accoglienza
Cpr e rimpatri, sistema fallimentare e costoso
Il nuovo report di Action Aid dimostra che il meccanismo pensato per espellere i migranti e costato 39 milioni di euro in due anni funziona a mala pena in un caso su dieci. L'esperto Coresi: «L'obiettivo è assimilare le persone migranti ai criminali». Sella (Don Bosco 2000): «Molto più utile destinare questi fondi a programmi per l'integrazione e il sostegno»
Nel 2023, solo il 10% dei migranti detenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) con provvedimenti di espulsione è stato rimpatriato. Eppure questo sistema ha comportato una spesa di 39 milioni di euro in due anni, con il costo medio annuo di un posto che sfiora i 29mila euro. I dati del nuovo rapporto che Action Aid ha realizzato insieme con l’Università di Bari attestano anche sul piano numerico le gravi storture e gli alti costi degli 11 centri detentivi attivi in Italia nel 2023.
I numeri della vergogna
Disumanità e inefficienze vanno di pari passo. I danneggiamenti causati dai numerosi atti di autolesionismo e dalle rivolte dei detenuti, provocate dalle condizioni di disagio e privazione dei diritti basilari delle persone, hanno reso indisponibili gran parte dei posti. Infatti, il sistema funziona da sempre a capacità ridotta. Nel 2023 si attesta al 53% della sua capienza ufficiale e, ad oggi, sono aperte e funzionanti solo 10 strutture su 12 attive. Anche per questo, il tasso di efficacia della politica detentiva risulta irrisorio, attestandosi a quel 10%. Nel 2023, delle 28.347 persone colpite da un provvedimento di espulsione sono rimpatriate effettivamente “solo” 2.987 dai Cpr italiani. Il totale dei rimpatri è invece di 4.267, comprensivo di tutte le procedure effettuate fuori dai Cpr. «Una politica che ottiene il 10% dei risultati attesi è inammissibile, a meno che non si riconosca che l’obiettivo non è quello esplicito del rimpatrio, ma è quello di assimilare le persone migranti ai criminali, erodendo le basi del diritto d’asilo e del sistema di accoglienza», ha sintetizzato Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per Action Aid.
Costi esorbitanti
Se poi si guarda ai cinque anni precedenti ci si fa un’idea dei costi esorbitanti di questo sistema a fronte di un numero di posti limitati: quasi 93 milioni di euro il costo complessivo dal 2018 al 2023. Di questi, oltre 33 milioni spesi per la manutenzione dei centri, di cui oltre il 76% è stato utilizzato per interventi di manutenzione straordinaria, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. A conferma che il prolungamento dei tempi di trattenimento comporta solo la crescita delle spese di manutenzione straordinaria: nel 2018 a 33 giorni di permanenza media in un Cpr corrispondono quasi 1.3 milioni di euro per costi di manutenzione straordinaria; nel 2022, a fronte di 40 giorni di permanenza media i costi erano balzati a 9.6 milioni.
Chi ne fa le spese
L’intero sistema solo nell’ultimo biennio considerato dal report (2022-2023) è costato 39 milioni e la spesa media annua di una struttura detentiva sale fino a un milione e 760mila euro, mentre il costo medio annuo di un posto raggiunge quasi 29 mila euro. Costi perfino sottostimati, perché non includono le spese accessorie. A Macomer, ad esempio, costa di più garantire vitto e alloggio delle forze dell’ordine a presidio del Cpr che gestirlo: 5 milioni e 800 mila euro tra 2020 e 2023 che, sommati a quanto speso per la sola struttura, portano il costo medio di un posto a superare i 52mila euro nel 2023.
Accoglienza e dialogo
Una reazione ferma a questi dati arriva da Agostino Sella, presidente di Don Bosco 2000, l’associazione impegnata in Sicilia nel campo dell’accoglienza e dell’inclusione sociale. Non solo, l’organizzazione salesiana è impegnata e in Africa, in particolare Senegal, Gambia e Mali, in progetti di cooperazione circolare, in cui si attiva uno scambio virtuoso tra chi arriva e chi ritorna, sempre facendo perno sulle relazioni umane.
Albania a sproposito
Oltre alle problematiche economiche, il rapporto denuncia infatti le condizioni disumane nei Cpr, caratterizzate da sovraffollamento e spazi invivibili. Eppure, nonostante l’evidente inefficacia di questa politica, spiega Sella, si sta valutando la creazione di hotspot in Albania, come suggerito dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Già in risposta alla partenza della nave della nostra Marina verso l’Albania, il 16 ottobre scorso, Sella aveva fatto sentire la sua voce: «Deportare migranti verso l’Albania ricorda tristemente pratiche autoritarie del passato che hanno portato l’Italia fuori dal rispetto dei diritti fondamentali della persona. Questo Governo sta scegliendo la strada della repressione e della disumanità, allontanandosi dai principi di solidarietà e accoglienza che dovrebbero essere il fondamento della Repubblica».
Ipocrisia al potere
Sella sottolinea oggi con forza «l’assurdità di investire in strutture detentive che dimostrano una palese inefficacia. Sarebbe molto più utile destinare questi fondi a programmi di integrazione e sostegno, offrendo ai migranti opportunità per costruire una vita dignitosa in Italia. La politica dei rimpatri, oltre che ingiusta, è chiaramente fallimentare: ripensare il modello attuale è ormai imprescindibile».
Gestione umana
«Don Bosco 2000, aggiunge Agostino Sella, ritiene inaccettabile investire risorse in un sistema che ha dimostrato il proprio fallimento e richiama la necessità di destinare i fondi a percorsi di integrazione e inclusione, offrendo ai migranti la possibilità di costruire una vita dignitosa in Italia. La strada per una gestione umana ed efficace dell’immigrazione passa attraverso la solidarietà, non la detenzione».
In apertura, l’immagine della cover del Report di Action Aid
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