Mondo
Covid-19, in Perù 100mila orfani
Ong e associazioni italiane si prendono cura di molti minori del Paese andino cui la pandemia ha tolto la famiglia. In campo e a distanza. Ecco le loro voci
di Paolo Manzo
La crisi del Covid-19 lascerà, tra le eredità indesiderate, un esercito di bambini senza genitori.
Secondo le stime pubblicate dalla rivista britannica The Lancet , per ogni due persone che muoiono di coronavirus, un bambino rimane orfano o senza un nonno che si prendeva cura di lui. Tra marzo 2020 e giugno 2021 i numeri ci dicono che quasi 2 milioni di under 18 hanno perso la madre, il padre o un nonno. Gli studi hanno anche rivelato che a causa della pandemia, nel mondo oggi diventa orfano un bambino ogni 12 secondi.
In rapporto al numero degli abitanti, il paese in assoluto più colpito da questo dramma è il Perù, seguito dal Sudafrica e dal Messico. Nella nazione andina, che ha registrato sinora oltre 203mila morti su una popolazione di meno di 33 milioni di persone, ovvero più di sei decessi ogni mille abitanti (in Italia siamo a 2,3, giusto per capire le dimensioni della tragedia), gli “orfani del Covid”, così li hanno battezzati, sono ormai oltre 100mila. Emblematica a questo proposito la storia della famiglia di Gabriela Zarate, raccontata qualche giorno fa dalla BBC . Gabriela vive in una piccola casa alla periferia di Lima, con il marito e otto figli. Quattro sono suoi e altri quattro, due ragazze di 7 e 15 anni e due ragazzi di 9 e 12 anni, sono invece i figli della sorella minore, Katherine, morta di Covid19 lo scorso giugno. Morta in casa, perché gli ospedali della capitale del Perù erano tutti strapieni e senza neanche una bombola di ossigeno, troppo caro per le precarie finanze della famiglia Zarate.
A fare il punto con Vita sulla situazione degli “orfani da Covid” in Perù è padre Manolo Cayo, ispettore salesiano nel paese andino (qui il sito della congregazione nel Paese andino https://fundaciondonbosco.org.pe).
“Noi salesiani qui siamo in 98, distribuiti in 15 comunità, dall’Amazzonia alle Ande. Abbiamo sparse sul territorio 10 scuole, 9 Case Don Bosco per giovani in situazioni di vulnerabilità, una delle quali dedicata ai migranti venezuelani e 3 centri missionari, uno nel Vicariato di Yurimaguas, a nord, uno nel Vicariato di Pucallpa, a est, entrambi in piena Amazzonia peruviana, ed una missione andina a Monte Salvado, vicino a Cusco. Inoltre gestiamo 10 parrocchie ed altrettanti centri giovanili". "Con la Fondazione Don Bosco"? – continua padre Manolo – abbiamo lavorato insieme alla Chiesa peruviana nella campagna dell'ossigeno e con il Banco Alimentare per l'emergenza alimentare. Abbiamo realizzato campagne d'intervento diretto in più di 90 ollas populares, come qui si chiamano le mense per i poveri". Inoltre, "stiamo garantendo da quasi due anni l'accesso digitale alla scuola per gli adolescenti e i giovani più poveri, visto che in Perù non si va a scuola dal marzo del 2020 e solo adesso, finalmente, si parla di un ritorno a fine marzo di quest'anno. Questa mancanza di frequenza scolastica è un grave problema che si aggiunge alle terribili cifre dell'orfanità causate dal Covid”. La gran parte del lavoro dei salesiani in Perù, fanno sapere della Fondazione, "è stato finanziato dalle donazioni dei benefattori italiani delle Missioni don Bosco".
"La grave situazione dell'infanzia peruviana in relazione alla crisi da Covid-19 non ha precedenti – racconta Corrado Scropetta, rappresentante in Perù di WeWorld, altra organizzazione del nostro comitato editoriale, attiva nel paese andino dal 2002 a sostengo delle famiglie più vulnerabili. Già prima del Covid-19, tra l’altro, ad occuparsi di molti minori erano anche i nonni, soprattutto nei casi di gravidanze precoci che in Perù rappresentano il 12% dei casi tra le adolescenti. Adesso in tante hanno perso anche questa figura familiare. Nella tragicità di quello che comporta questo fenomeno a livello sociale e psicologico, l’aspetto economico non è da sottovalutare visto che questi bambini e bambine hanno perso anche ogni forma di sostentamento. Per questo lo Stato peruviano ha previsto un sussidio di 200 soles (circa 40 euro) a 18mila bambini, quasi il doppio del numero previsto inizialmente ma assolutamente insufficiente rispetto alla realtà dei casi.
Perù, la scuola in affanno
Un aspetto, quello economico, che ha dei risvolti anche sulla crisi educativa a cui stiamo assistendo nel Paese. In Perú le scuole non hanno mai riaperto da marzo del 2020 ed è uno dei pochi paesi al mondo secondo l’Unesco. Si spera che le scuole riaprano tra due mesi, con la ripresa dell’anno scolastico, ma il sistema pubblico è sotto pressione visto che, proprio a causa della crisi economica, circa 300mila studenti sono passati dal sistema privato a quello pubblico, che non ha infrastrutture adeguate né possiede un numero sufficiente di docenti".
Per Roberto Vignola, vice direttore generale di fondazione Cesvi, “a pagare il prezzo più alto a causa della pandemia da Covid-19 in Perù sono stati proprio i bambini e i ragazzi che hanno perso genitori o parenti che li accudivano e proprio per questo spesso non riescono più a nutrirsi regolarmente, hanno dovuto abbandonare la scuola per mantenersi, vivono una situazione di disagio mentale e sono sempre più esposti a rischio sfruttamento, anche sessuale". Attraverso gli "interventi del progetto del Cesvi, Casa del Sorriso – continua Roberto – sin dall’inizio della pandemia abbiamo protetto bambine e giovani donne dalla violenza domestica acuitasi fortemente nei mesi di lockdown, offrendo supporto psicologico, sostegno economico e formazione a molte giovani ragazze madri per poter trovare un impiego e prendersi cura dei propri figli". Tra queste c'è "Valeria, una giovanissima mamma vittima di violenza e senza famiglia che attraverso la psicoterapia e la scuola di formazione si sta impegnando per diventare infermiera e costruire il proprio futuro e quello della figlia di 4 anni".
Gli assistenti sociali peruviani ritengono che l'impatto della pandemia sui bambini sia stato trascurato poiché di solito sono meno colpiti degli adulti dalla malattia, anche se già più di 1.500 bambini peruviani sono morti a causa del Covid-19. Per Yuri Cutipé, il direttore esecutivo della salute mentale presso il ministero della Sanità del Perù, "se aggiungiamo la perdita di un genitore o di un caregiver all'impatto sulla salute mentale della pandemia nel contesto dell'indebolimento delle reti familiari e comunitarie, e delle carenze economiche, la psiche di tutta questa fascia di popolazione rischia di essere segnata da vari cedimenti e da difficoltà complesse”. I lunghi lockdown, infatti, hanno causato un forte aumento della violenza domestica, nonché dell'ansia e della depressione nei più piccoli. Un terzo dei bambini di Lima, infatti, “mostra un alto rischio di avere in futuro problemi di salute mentale”, secondo uno studio del ministero della Sanità del Perù e dell’Unicef.
Per Roxana Pingo, (qui una sua intervista a Diario ) che è la coordinatrice del programma di risposta al Covid di Save the Children Peru “oltre al dramma dei 1.500 bambini morti per il virus, qui i minori che ce l’hanno fatta sono stati colpiti in modo estremo sia dalla depressione che dall’ansia”.
Tra le associazioni del nostro comitato editoriale, oltre alle già citate missioni Don Bosco, WeWorld e Cesvi, in Perù è presente anche SOS Villaggi dei Bambini, con 8 Centri Sociali, 101 Case comunitarie, 6.037 ragazzi e ragazze accuditi nei servizi di cura e sviluppo della prima infanzia e 1.699 bambini e adolescenti in 787 famiglie assistite nei servizi di famiglie a rischio. “La nostra onlus nel paese andino è intervenuta su più fronti nel tentativo di evitare potenziali situazioni di vulnerabilità, come quella dell'orfanità.
In risposta al confinamento, abbiamo sviluppato azioni per garantire che i bambini abbiano accesso alle loro classi a distanza, fornendo strumenti di base e aiutando i genitori a fornire il supporto necessario per i loro figli". Presente sul campo è anche Avsi. “Attraverso il lavoro quotidiano sul campo che realizziamo grazie al programma di sostegno a distanza – racconta a Vita Ricardo Gonzalez Torres, responsabile della nostra ong in loco – abbiamo osservato che la pandemia ha colpito duramente i bambini e gli adolescenti in tutto il paese. Stiamo realizzando un accompagnamento costante a livello educativo per ricostruire giorno dopo giorno le relazioni personali e familiari dei bambini rimasti orfani, aiutandoli a guardare al loro futuro con speranza”.
L'adozione a distanza sostiene gli tios
Infine in Perù opera da anni la Fondazione Francesca Rava – N.P.H., sulla cui opera a favore dei bambini è la stessa presidente Mariavittoria Rava ad aggiornarci. "Nella nostra casa Santa Rosa di Lima, nel distretto di Cañete Il, il Covid ha rappresentato un problema molto grande per l'isolamento e la difficoltà di approvvigionamento dei beni essenziali, e per l'inflazione, visto che l'aumento dei prezzi è dovuto alla difficoltà di trasporto e quindi alla scarsità che ha portato con sé la pandemia. Ma soprattutto ha messo in ginocchio le famiglie nelle campagne circostanti, già molto povere, per la difficoltà di accesso alle cure e quindi i numerosissimi decessi anche di persone relativamente giovani. Ciò ha aggravato la miseria nella miseria di molte famiglie che hanno perso l'unica persona fonte di reddito e, sovente, le giovani mamme o le giovani nonne che spesso in Perù sono il perno della famiglia”. Di conseguenza “è aumentato il lavoro di sostegno del nostro progetto One Family – continua Mariavittoria – che ha come obiettivo come dice la frase stessa di creare un abbraccio, una famiglia allargata intorno ai bambini che sono rimasti orfani a causa del Covid ma che vivono con un parente non in grado di prendersi cura di loro". Per questo la Fondazione Francesca Rava attraverso l'adozione a distanza “sostiene il lavoro degli assistenti sociali e dei tios, gli zii, che accompagnano i bambini a scuola e garantiscono cure mediche e un pasto al giorno. Sono tanti i bambini che hanno bisogno di aiuto e lo si può fare con pochi centesimi al giorno adottandoli a distanza e, appena sarà possibile, andando in Peru nei nostri campi di volontariato”.
Per Marco Griffini, presidente di AiBi, che in Perù opera con le adozioni internazionali, non avendo al momento progetti attivi, ”il dato in sé degli oltre 100mila di orfani per Covid è terribile. Ma è ancora più terribile pensare che a questo dramma se ne aggiunge un altro, meno conosciuto: ovvero che questi minori sono destinati a passare molti, troppi anni in orfanotrofio, prigionieri di quelli che noi chiamiamo i “miti culturali”, che frenano le adozioni.
Il mito, per esempio, che basti l’assistenza (quanto, poi, questa assistenza sia efficace ed efficiente è un’altra questione
foto @jackieboylhart per Unplash
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