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Covid-19, aiutare i Paesi poveri aiuta anche noi
Senza stanziamenti immediati per contrastare disuguaglianze e fragilità nei prossimi 12-18 mesi, c’è il rischio che il virus rimbalzi di nuovo da Sud a Nord. Un nuovo rapporto di Oxfam fotografa le catastrofiche conseguenze del sanitarie, umanitarie ed economiche della pandemia a livello globale. Appello urgente ai Governi, alle Istituzioni globali e al Fmi per stanziare 300 miliardi di dollari in aiuti ed estendere la cancellazione del debito estero a tutti i Pvs
di Redazione
Mettere le economie e i sistemi sanitari più fragili del Pianeta in condizione di resistere alla pandemia da coronavirus è cruciale. In caso di contagio, infatti, solo meno della metà della popolazione mondiale avrebbe accesso a cure di base, mentre 880 milioni di persone che vivono in baraccopoli nei Paesi poveri non potrebbero mantenere fisicamente norme di distanziamento. Senza aiuti, nei prossimi 12-18 mesi, sono perciò a rischio decine di milioni di vite, e sarà inevitabile il moltiplicarsi di nuove carestie e nuovi focolai in Paesi del tutto impreparati ad affrontare la pandemia. La conseguenza, in un mondo interconnesso, potrebbe essere il rimbalzo del contagio da Sud a Nord, e quindi dai Paesi poveri ai Paesi ricchi.
È questo l’allarme che Oxfam lancia oggi con il nuovo rapporto “Tutto l’aiuto necessario” (in allegato a fondo pagina) che fotografa le catastrofiche conseguenze sanitarie, umanitarie ed economiche della pandemia, inevitabili senza un’immediata serie di azioni efficaci. Una denuncia lanciata in un giorno non a caso: l’Africa Day, proprio perché tra le aree più a rischio in questo momento ci sono molti dei Paesi più poveri e dilaniati da conflitti del continente africano.
Basti pensare che in 42 Paesi concentrati per lo più in nell’area sub-sahariana, la maggioranza della popolazione non può nemmeno lavarsi le mani con acqua e sapone in casa propria. Un elemento cruciale per prevenire e ridurre il contagio.
«Il segretario Onu Guterres ha avvertito che tutti gli investimenti sulla ricerca di cure e vaccini saranno inutili, se il mondo ricco continuerà a pensare di potersi salvare da solo», ha detto Francesco Petrelli, senior policy advisor di Oxfam Italia su finanza per lo sviluppo. «Il virus, in assenza di adeguate misure di contenimento, è una mina vagante, capace di produrre “epidemie” di ritorno, con ripercussioni economiche e sanitarie gravissime anche per quei paesi ricchi che iniziano ad uscire da una fase di prima emergenza. Questa crisi ci sta dimostrando sul piano dei principi, ma anche degli interessi socio-economici, che nessuno è al sicuro se non lo siamo tutti».
Allo stato attuale – ricorda una nota dell’organizzazione -, i sistemi sanitari dei Paesi poveri, semplicemente non sono in grado di far fronte alla pandemia, innanzi tutto per mancanza di fondi e altissimi livelli di indebitamento estero. In media la spesa sanitaria pro-capite nei Paesi a basso reddito può essere 70 volte inferiore rispetto a quella dei Paesi ad alto reddito.
Sud Sudan, Campo profughi a Juba chiamato Casa delle Nazioni Unite ©Pablo Tosco Oxfam
La situazione più drammatica è in Africa a causa di una strutturale carenza di forniture, equipaggiamenti e personale medico. In media, in tutto il continente, ci sono 2,8 medici e 11 infermieri ogni 10mila abitanti con oltre 100mila contagi registrati, a fronte dei 33,8 medici e 80,6 infermieri dell’Europa. Contro il coronavirus il Mali dispone di soli 3 ventilatori polmonari per 10 milioni di persone, la Repubblica Centrafricana ne ha soltanto 3 nell’intero Paese, mentre ben 10 Paesi africani non ne hanno nessuno. Si tratta di sistemi sanitari già ridotti allo stremo con un carico totale di malattie infettive neanche paragonabile a quello dei Paesi ricchi. Contesti dove ogni giorno muoiono in media di tubercolosi oltre 4mila persone e quasi 1.200, per lo più bambini, sono uccise dalla malaria. Particolarmente critica la situazione anche nel Sahel, soprattutto in Burkina Faso, dove oltre 1 milione di donne sono allo stremo, costrette in gran parte a vivere in alloggi di fortuna e campi profughi, senza accesso a servizi essenziali, acqua pulita e cibo ed esposte a violenza di ogni sorta, a causa del brutale conflitto in corso e dell’instabilità acuita dalla pandemia.
«Se, come per Ebola, strutture sanitarie tanto fragili si troveranno a dover concentrare risorse e personale sulla cura del Covid, moriranno molte più persone di altre malattie. Come successo in Sierra Leone, dove il numero delle donne morte durante la gravidanza fu pari a quello delle vittime dell’Ebola», aggiunge Petrelli. «Ma prevenire è meglio che curare! Bisogna perciò concentrare nel breve e nel medio periodo risorse per garantire acqua e igiene, reclutare 10 milioni tra medici e infermieri, garantendo assistenza sanitaria di base gratuita per tutti e accesso a vaccini e test diagnostici. Per fare questo è necessario liberare Paesi già poverissimi dal peso del debito estero. Basti pensare che nel 2020 in 46 Paesi poveri la spesa per il pagamento del debito era in media il quadruplo della spesa sanitaria. In Ghana, ad esempio, Paese record per crescita del Pil nel 2019, la spesa per il servizio del debito era pari a 11 volte la spesa sanitaria».
Nei Paesi a basso e medio reddito, soprattutto in Africa, con l’espandersi della pandemia da coronavirus, i danni economici derivanti dalle massicce fughe di capitali (con 90 miliardi di dollari ritirati solo a marzo dai mercati a causa dell’aumento del “rischio Paese”), sommati alla riduzione dei prezzi delle materie prime, dei proventi del turismo e delle rimesse avranno effetti devastanti sui mezzi di sussistenza. La Banca Mondiale prevede che nell'Africa subsahariana la crescita potrebbe ridursi addirittura del 5,1% nel 2020 e del 2% in tutto il continente. Sarebbe la prima recessione nella regione negli ultimi 25 anni.
Tra le prime conseguenze potrebbe esserci una vera e propria catastrofe alimentare. Già prima della pandemia, 820 milioni di persone non avevano cibo sufficiente, mentre oggi altri milioni rischiano di ritrovarsi alla fame a causa degli sciami di locuste che imperversano in tutta l'Africa orientale devastando i raccolti. Due terzi dei Paesi del continente ha subito il lockdown, ed è quindi indispensabile sostenere anche la loro ripresa per non innescare una catastrofe sociale che si sommerebbe a quella sanitaria.
Secondo le stime di Oxfam, per fronteggiare la pandemia nei Paesi poveri è sufficiente il 6% – pari a circa 300 miliardi di dollari – degli incentivi economici messi in campo sinora nei Paesi ad alto reddito. Fondi che dovranno innanzi tutto dare sostegno a misure di prevenzione, sistemi sanitari, tutela sociale e sicurezza alimentare, nel rispetto dei principi di qualità degli aiuti. Contestualmente servirà il raddoppio degli aiuti diretti all’emergenza sanitaria verso i Paesi più poveri e l’estensione della cancellazione del debito a tutte le economie più fragili. Il recente annuncio del Fondo Monetario Internazionale di voler cancellare il debito di 25 Paesi in considerazione della crisi è un primo passo avanti.
Tuttavia questo piano, secondo Oxfam, non solo manca di ambizione, in quanto è troppo esiguo e sostiene un numero troppo limitato di Paesi, ma farà sì che i contributi degli aiuti saranno utilizzati per pagare lo stesso debito. Un circolo vizioso che può essere interrotto solo se il Fondo Monetario Internazionale deciderà di cancellare i pagamenti del debito rendendo disponibili, (vendendo) ad esempio parte delle proprie riserve auree.
«Un aiuto internazionale efficace che segni una svolta, deve contrastare l’emergenza sanitaria subito e sostenere i paesi poveri nella ripartenza economica» conclude Petrelli. «Questa strategia si deve realizzare in 4 mosse decise e tempestive: colmare il gap dell’aiuto allo sviluppo portandolo da 150 miliardi di dollari attuali a 300 miliardi; investire nel raddoppio della spesa sanitaria pubblica negli 85 Paesi più poveri del mondo pari a 159 miliardi di dollari; cancellare il fardello del debito per tutti i paesi poveri; riorganizzare gli aiuti sotto il segno della lotta alla diseguaglianza, della tutela sociale, degli aiuti a misura di donna, della salvaguardia dell’ambiente e del clima».
In apertura Sud Sudan Campo profughi di Mingkaman ©Pablo Tosco-Oxfam
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