Sono appena rientrato da S.to Domingo, nell’antica isola d Hispaniola, dove si è svolto il 12° Seminario regionale degli attori sociali ed economici ACP – UE. Sulla base dell’Accordo di Cotonou, il Comitato Economico e Sociale Europeo ha infatti il compito di organizzare consultazioni regolari degli attori sociali ed economici dei paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico, su base regolare e regionale, al fine di creare spazi di reale partecipazione delle società civili al dialogo politico ed esecutivo inerente la cooperazione dell’Unione europea con i paesi ACP, favorendo anche la crescita di una efficace cooperazione tra questi attori, sia nelle rispettive regioni, che tra europei e paesi ACP. (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.events-and-activities-acp-eu-twelfth-regional-seminar)
Questo seminario, che raggruppava organizzazioni dei 15 paesi dell’area caraibica (imprenditori, sindacati, agricoltori, consumatori e ONG in particolare) aveva due temi principali: le conseguenze del vertice di Rio per l’aerea e la messa in opera di un quadro di cooperazione efficace tra la società civile e le autorità regionali in ordine alla messa in opera dell’Accordo di partenariato economico (APE) firmato dall’UE con il Cariforum ed entrato in vigore ormai 4 anni fa. Fu proprio una precisa iniziativa del CESE e degli Attori non statali dell’area dei Caraibi, nata durante un altro seminario di sei anni fa a Bridgetown (Barbados) a spingere i negoziatori europei e della regione ad includere nell’Accordo commerciale una clausola sociale e ambientale e l’istituzione di un Comitato consultivo misto della società civile europea e dei Caraibi, per assistere il Consiglio dei Ministri congiunto nel monitoraggio dell’Accordo complessivo, con particolare riferimento all’impatto economico, sociale ed ambientale dello stesso.
Un novità assoluta allora, dove per la prima volta in un accordo commerciale è stata prevista una Istituzione di dialogo permanente con la società civile, che ha poi fatto scuola, essendo stata poi inclusa anche in seno al successivo accordo tra UE e Corea del Sud e anche parte di diversi altri negoziati commerciali in corso, con buone possibilità di essere previsto a breve almeno in altri due, tra cui l’India.
Tutto bene dunque? Manco per nulla. Dopo 4 anni il Comitato consultivo della società civile dei 15 paesi dei Caraibi non ha ancora visto la luce. Risolti i problemi di copertura dei finanziamenti necessari a farlo funzionari si tratta di un’area molto complessa e costosa per le comunicazioni), risolte le titubanze applicative dei governi dell’aerea (come ovunque piuttosto restii a dialogare su base stabile con la società civile) , risolta anche la non semplice selezione della delegazione della società civile europea e del suo supporto operativo (il CESE si farà carico interamente della segreteria per i primi due anni)da due anni si gira a vuoto…. Per colpa della società civile dei Caraibi!!!
In un primo tempo sembrava che fossero le componenti imprenditoriali a non voler trovare una quadra, per poter difendere nel segreto delle lobby particolari i propri rispettivi e precisi interessi. Ma poi si è chiuso oltre un anno fa con un buon accordo su chi dovesse rappresentare cosa. Poi sembrava fosse complesso per l’area sindacale, ma anche qui, grazie all’intervento della Confederazione sindacale internazionale si è trovato un buon equilibrio per designare i loro rappresentanti, da oltre un anno non si riusciva a trovare alcuna composizione tra gli altri interessi socio economici (agricoltura, pesca, turismo….), i consumatori, i giovani, le donne, le ONG, la cultura, le Università. Riunioni nei Caraibi e a Bruxelles, missioni ripetute del CESE si sono succedute nell’ultimo anno, ma il nodo rimaneva irrisolto: elevata litigiosità …. per chi dovesse occupare il posto. Malgrado tutte le proposte inventate, di rotazione a metà mandato, di partecipazione come osservatori per tutti i non titolari,di suppleenti pagati, ecc… Insomma di che far sorridere i vari interessi pesanti della finanza e dell’economia. L’unico organo dell’Accordo, 4 anni dopo la sua entrata in vigore, non ancora costituito ed operativo è proprio quello della società civile. Finalmente, con questo seminario, la situazione sembra essersi sbloccata ed un preaccordo è stato firmato tra tutte le parti, per chiudere entro fine agosto, in tempo perché si possa procedere alla sua costituzione entro l’autunno.
Ritornando in Europa, mi sono trovato a riflettere non tanto su questa vicenda specifica, pur espressiva delle concrete difficoltà di far vivere con efficacia ciò che andiamo predicando e promuovendo da qualche decennio, cioè una partecipazione attiva della società civile nelle politiche internazionali, negli accordi commerciali, ma sulla stessa difficoltà strutturale che concerne anche le società civili dei nostri paesi europei.
Siamo tutti più che esperti nel declinare le buone ragioni della società civile, la necessità democratica della seconda gamba della democrazia partecipativa a fianco di quella rappresentativa, ad esigere con tanto di dichiarazioni e conferenze della società civile, che i Vertici europei si aprano alla società civile, ma poi cadiamo nelle stesse dinamiche che rendono difficile e lento il progredire dell’integrazione europea. Ciascuno vuole i suoi 5 minuti di visibilità, ciascuno ritiene spesso che nessuna possa rappresentare meglio di lui le sue ragioni particolari, investiamo l’80% e forse più delle nostre risorse di lobby nel “trovare la quadra” su chi debba rappresentare chi, invece di trovare con chiarezza i 3-4 punti prioritari comuni (e sono certo e testimone che ce ne sono molti di più) su cui investire l’80% della lobby comune per vincere la partita, a sostegno delle buone mosse della politica (si, quella che noi critichiamo, talora riesce a fare buone mosse, gettando il cuore oltre l’ostacolo, con volontà, determinazione e perseveranza), per cambiare le regole del mercato del capitalismo finanziario, per creare nuovi spazi di democrazia civile e di economia sociale di mercato altamente competitiva, come amano dire i tedeschi.
Ahimé. La fragilità dei processi di costruzione e rappresentanza della società civile organizzata, sia a livello europeo che nazionale, resta una delle grandi questioni su cui bisogna trovare il modo di esprimere, sia in Italia, che nella piazza europea, un vero colpo d’ala. Superando i troppi protagonismi, ma anche le inutili, dispendiose e inefficaci posizioni di rendita, che sono molte e sono ormai ingiustificate, rispetto alla crisi economica che stiamo vivendo e alle urgenze delle sfide che abbiamo di fronte.
Tra queste vorrei ricordare quelle che bene illustra nel suo editoriale di domenica 8 luglio, su Avvenire Luigino Bruni(http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/ilmodelloitaliano.aspx), evidenziando che una tale sfida di “economia di mercato sociale” va molto al di là dell’Italia e forse meriterebbe ben altre alleanze e proiezioni delle forse sociali, economiche e culturali dell’intero continente europeo, nell’Anno internazionale delle cooperative. Chissà che un domani non debbano essere i cinesi a fare in Europa un seminario della società civile organizzata per farci trovare un buon accordo tra tutte le componenti settoriali e culturali degli ormai prossimi 28 paesi, al fine di fare il nostro mestiere. Mi viene da chiedermi se basteranno 4 anni……
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