In questi giorni ho provato grande pena nel leggere i dispacci d’agenzia che provengono dalla Costa d’Avorio. Purtroppo è scoppiata per l’ennesima volta una dannata guerra civile che sta avendo degli effetti devastanti sulla stremata popolazione civile. Abidjan è ormai un campo di battaglia e ancora una volta le armi prendono tristemente il sopravvento sulle ragioni della politica. La vastissima area metropolitana della capitale industriale ivoriana rappresenta la tappa finale, quella decisiva, di un scontro tra i due contendenti nella corsa alla massima carica dello Stato: il presidente uscente Laurent Gbagbo e quello internazionalmente riconosciuto come vincitore del ballottaggio del 28 novembre dello scorso anno, Alassane Ouattara. Le ultime notizie indicherebbero che il corso degli eventi sta volgendo all’epilogo, ma nel peggiore dei modi. Un epilogo fatto purtroppo di morti, rifugiati e distruzioni inenarrabili. La soluzione che sembrava ancora percorribile poche settimane fa e che era stata suggerita dalla società civile ivoriana è stata lasciata cadere dall’intransigenza della Comunità internazionale sobillata – è il caso di dirlo – dalla Francia che s’è riciclata come potenza coloniale – parafrasando il professor Richard Banegas, del Département de Science Politique de la Sorbonne di Parigi – utilizzando elicotteri da combattimento e carri armati al posto della “chicotte coloniale”. Sarebbe stato sufficiente organizzare un secondo turno elettorale nei dipartimenti della Costa d’Avorio ove si denunciavano frodi o gravi irregolarità durante il ballottaggio delle presidenziali. Una scelta che forse poteva servire per evitare la carneficina di questi giorni. Francamente, non vedo vantaggi di sorta in questa prova di forza voluta dai francesi. Ho l’impressione che, alla prova dei fatti, tutti alla fine escano perdenti, soprattutto l’Africa nelle sue istituzioni e nella sua capacità di fare politica. Ha fatto bene pertanto ieri il governo di Mosca, affermando che la Comunità internazionale e la Francia sono intervenuti in un conflitto interno e in appoggio ad una delle parti senza rispettare i limiti previsti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale. In questo modo si è aperta la strada ad un nuovo regime in una regione estremamente sensibile dell’Africa, dove gli elementi saheliani, a forte connotazione musulmana, tendono a prendere sempre di più il sopravvento, indipendentemente dalle tendenze delle popolazioni autoctone. Insomma, la frittata è fatta, nel senso che, di questo passo, la governabilità in Costa d’Avorio sarà per un lungo tempo compromessa (il Paese ora è definitivamente spaccato!), con forti ripercussioni sull’economia regionale. Per carità, Gbagbo ha le sue grandi responsabilità (guai a scadere nel manicheismo, dividendo lo scenario tra buoni e cattivi), ma la diplomazia internazionale ha trasformato i peacekeeper dell’Onu (concepiti come forza d’interposizione) in un’armata belligerante. Un mio carissimo amico ivoriano mi ha scritto ieri sera una mail in cui scrive: “Sarkosy, preoccupato com’è di salvaguardare i propri interessi commerciali in Africa, vuole emulare la politica guerrafondaia di George W. Bush e non si rende conto che sta acuendo l’odio contro l’occidente”. Non mi sento di dargli torto! A questo punto, considerando gli effetti della crisi per l’ordine pubblico, la coesione sociale e la governabilità del la Costa d’Avorio, viene spontaneo chiedersi cosa avverrà con l’ormai imminente vittoria di Ouattara. Considerando che i seguaci di Gbagbo costituiscono comunque una quota consistente della popolazione insediata nella Costa d’Avorio meridionale, sarebbe lodevole se Ouattara s’impegnasse a fermare le armi formando un governo di unità nazionale in grado di coinvolgere tutte le componenti più significative della politica ivoriana e creando una commissione di “verità e riconciliazione” come in Sudafrica. Scrivo queste parole sapendo bene che serve solo un miracolo per cambiare la testa a Gbagbo e a Ouattara! Ma solo una forte coalizione all’insegna della solidarietà nazionale potrebbe ricucire lo strappo. Alla comunità internazionale il compito di mediare, evitando forme di partigianeria che prolungherebbero nel tempo la crisi, con effetti drammatici sulla popolazione locale e l’intera regione dell’Africa Occidentale.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.