Welfare

Così ricordo Mario Gozzini

L'umanizzazione della pena detentiva

di Redazione

Una visione parziale del personaggio pubblico di Mario Gozzini ha fatto di lui unicamente l?uomo della decarcerizzazione o, peggio, della fuga dei carcerati. Ma Gozzini non deve essere annoverato fra gli abolizionisti né fra i riduzionisti della pena. La legge che prende il suo nome ha dato la spinta decisiva per favorire l?umanizzazione della pena detentiva, finalizzandola a cinque obiettivi: l? ampliamento dell?operatività delle misure alternative già previste dalla legge penitenziaria del 1975; la previsone di nuove misure alternative; l?affermazione del principio secondo cui non può esistere alcuna presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non debba essere verificata nell?attualità e in ogni momento; l? attenuazione del regime di sorveglianza particolare (attraverso l?abrogazione del famigerato articolo 90 e dei bracci speciali); infine il rilancio del ruolo e funzione della magistratura di sorveglianza quale garante della legalità delle condizioni carcerarie. Insomma, la proposta di una pena detentiva più flessibile. Alla base della stessa legge, però, c?era il principio che più volte Mario Gozzini affermava anche quando partecipava alle dicussioni con i detenuti nelle carceri: «La pena è flessibile solo se la si merita». In questo si riagganciava ad una visione della pena come risarcimento morale. Per questo è ingiusto pensare a lui come all?uomo delle liberazioni sempre e comunque. Basta pensare al suo libro ?Carcere, come e perché? pubblicato nel 1986 in cui, precorrendo i tempi, dedicava riflessioni oggi molto attuali alla polizia penitenziaria, agli stranieri, ai tossicodipendenti e ai volontari. Gozzini si preoccupava infatti anche degli strumenti necessari per poter applicare le riforme e cioè le strutture, gli assistenti sociali, l?edilizia penitenziaria, il volontariato. Insomma era la persona che non solo teorizzava la pena, ma si ?sporcava le mani?, come fece in occasione del suo capolavoro di dialogo e comunicazione con i detenuti che consentì la soluzione della rivolta di Porto Azzurro. Attraverso la sua capacità comunicativa trovava la forza di coinvolgere brani di società civile, rappresentanti di enti locali e della magistratura; per questo la sua legge divenne un? espressione corale e fu approvata in Parlamento da tutte le forze politiche. Anche quando eravamo incerti sulle prospettive della sua riforma e in un dibatitto a Milano con padre Turoldo gli ricordavamo il monito biblico «astieniti dal fare il bene quando non sei certo che superi il male», egli ci rispondeva che la giustizia biblica era stata superata dal Vangelo. Pur senza mai esibire come etichetta o motivo di divisione l?ispirazione che gli proveniva dava il suo credo religioso intensamente vissuto, chi lo incontrava capiva cosa lui pensasse veramente dell?uomo, della vita, del mondo.
di Francesco Maisto sostituto procuratore generale di Milano

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