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Così Putin ha chiuso ogni spiraglio di pace

A Putin oggi, dopo il fallimento di tanti piani, non resta che il piano D, ovvero annettere le provincie di Donetsk e Luhansk con il cordone di costa fino alla Crimea già annessa nel 2014. Con un illegittimo maquillage di diritto internazionale Putin sta cercando di mettere in sicurezza e legittimare almeno gli scarsi risultati ottenuti fino ad oggi. E lo fa agitando lo spettro atomico mentre continua la finzione di non chiamare guerra la guerra ma operazione militare speciale nonostante il terrificante numero di vittime tenuto nascosto all'opinione pubblica. Se avessimo acsoltato Anna Politkovskaya

di Paolo Bergamaschi

"Lascia o raddoppia?" avrebbe senz'altro chiesto Mike Bongiorno, se fosse ancora in vita, a Vladimir Putin dopo i rovesci dell'esercito russo in Ucraina. La risposta non ammette dubbi. Putin ha raddoppiato la posta in gioco chiudendo ogni spiraglio di pace.

A finire in gabbia nelle città russe sono le colombe mentre i falchi volano alto, liberi nel cielo. L'annuncio dell'annessione, di fatto, di quattro oblast ucraini e della mobilitazione di 300.000 riservisti per presidiare i nuovi confini della federazione serve a placare gli oltranzisti che da tempo criticano l'inquilino del Cremlino per la sua gestione incerta, al limite del fallimento, della crisi. Si sfogliano i piani come i petali di una margherita, mutano gli scenari come una mappa di Risiko ma non si arresta la carneficina. Dal piano A di inizio conflitto che prevedeva la rapida conquista di Kiev con la decapitazione dei vertici "nazisti" dello stato ucraino si è passati a quello B che aveva come obiettivo la conquista del Donbass allargato e della mezzaluna meridionale lungo il mar Nero (che i nazionalisti russi chiamano Novorossiya) fino a Odessa e la Transnistria riducendo l'Ucraina a un mini-stato irrilevante. Anche questo target è andato in fumo per la disperata ma efficace resistenza delle truppe di Kiev con il sostegno militare occidentale. Il piano C, poi, quello che oltre al Donbass si accontentava di Kharkiv, la seconda città dell'ex repubblica sovietica, è evaporato in pochi giorni con la sorprendente controffensiva delle forze ucraine. A Putin non resta che il piano D, ovvero le provincie di Donetsk e Luhansk con il cordone di costa fino alla Crimea già annessa nel 2014. Con un pasticciato maquillage di diritto internazionale Putin sta cercando di mettere in sicurezza e legittimare almeno gli scarsi risultati ottenuti fino ad oggi. E lo fa agitando lo spettro atomico mentre continua la finzione di non chiamare guerra la guerra ma operazione militare speciale nonostante il terrificante numero di vittime tenuto nascosto all'opinione pubblica. Fonti ucraine parlano di 55.000 soldati di Mosca caduti sul fronte; le stime dell'intelligence britannica, più realiste, fissano il numero dei morti a oltre 25.000, quasi il doppio, comunque, dei caduti dell'armata rossa nei dieci anni di guerra in Afghanistan fra il 1979 e il 1989. La cripto-campagna di arruolamento volontario lanciata nei mesi scorsi dalle autorità russe per rimpolpare un esercito sfinito e demoralizzato non ha dato i risultati sperati e si ricorre, di conseguenza, alla mobilitazione delle forze di riserva dopo avere inasprito le pene per i renitenti.


Confesso di essermi sentito toccato in prima persona dalle parole pronunciate da Ursula Von der Leyen nel suo discorso al parlamento europeo sullo Stato dell'Unione. "Una lezione di questa guerra è che avremmo dovuto dare ascolto a quelli che conoscono Putin, a Anna Politkovskaya e a tutti i giornalisti che hanno denunciato i suoi crimini pagandone il prezzo….", ha detto la presidente della Commissione europea rivolgendosi all'assemblea di Strasburgo durante l'ultima plenaria. Io sono uno di quelli che non ha voluto dare retta a Anna quando mi metteva in guardia, già nel 2003, sulle reali intenzioni di Vladimir Putin. Ammetto la colpa.

Sono, però, convinto che occorra, comunque, mantenere aperti i canali del dialogo perché bisogna mettere fine al macello e prevenire ogni ulteriore escalation prima che sia troppo tardi. Non credo che la caduta o la rimozione dell'autocrate del Cremlino, come sogna qualcuno, risolva i problemi di un paese, la Russia, inzuppato di un'ideologia ultra-nazionalista che accompagna e intossica i cittadini dalla culla alla tomba. L'eventuale fine di Putin non significa affatto la fine del regime con il quale, che piaccia o meno, dovremo fare i conti. "Mi dichiaro colpevole!…" ha affermato Alexei Gorinov, un consigliere di distretto, davanti alla corte che a Mosca, lo scorso 19 settembre, lo condannava a sei anni e undici mesi di reclusione per avere criticato la guerra in Ucraina, "…. colpevole nei confronti del popolo ucraino che ha sofferto tanto, colpevole verso la comunità internazionale, colpevole, come cittadino di questo paese, per non essere riuscito a impedire questa follia e chiedo scusa per non essere capace di fermarla". Cerchiamo di fare sentire a Alexei e agli impavidi come lui che non è solo.

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