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Così prepariamo Haiti all’uragano Maria

Mentre la nuova emergenza atmosferica minaccia i Caraibi, il capo missione di Coopi ad Haiti spiega il piano di prevenzione messo a punto nel Paese, dove grazie alla formazione della protezione civile, alla condivisione delle informazioni e alle prove sistematiche di evacuazione con la popolazione, Irma non ha registrato vittime

di Ottavia Spaggiari

Dopo Irma è la volta di Maria. Un nuovo ciclone sta per travolgere i Caraibi e anche Haiti si prepara ad affrontare una nuova emergenza.

«È incredibile quanto questa terra sia vulnerabile. Poche settimane fa ci sono state due nuove scosse di terremoto, poi è stata la volta di Irma e adesso aspettiamo Maria. È facile capire il fatalismo degli haitiani, qui c’è un rapporto molto diverso con la morte», spiega Daniel Febei, capo-missione di Coopi che nel Paese dove l’organizzazione sta portando avanti un progetto pluriennale sulla riduzione dei rischi nei disastri naturali nel dipartimento del Sud Est di Jacmel e in quello dell’Ovest di Port-Au-Price. Il Paese è nel pieno della stagione ciclonica, che va dall’inizio di giugno a fine ottobre ma il grado di violenza degli ultimi eventi, spiega Febei, è aumentato. «Non ho mai visto una tale intensità. Negli Stati Uniti, Harvey ha fatto più danni di ogni altro terremoto, mentre Irma è stato l’uragano più forte mai registrato».

Difficile capire la potenza per chi non ha mai assistito ad un evento simile. «Ho visto case e quartieri interi portati via dal fiume, colline rase al suolo, come se fosse esplosa una bomba».


È facile capire il fatalismo degli haitiani, qui c’è un rapporto molto diverso con la morte.

Daniel Febei, capo-missione di Coopi

Eppure, nonostante la potenza e la distruzione, Irma non ha registrato vittime ad Haiti, non il frutto di una coincidenza fortunata ma di un lunghissimo sforzo di prevenzione, basti pensare che, solo nell’ultimo anno Coopi ha realizzato 30 simulazioni di catastrofi con evacuazioni comunitarie.

«Tabarre è stato uno dei comuni più colpiti, abbiamo evacuato circa 200 persone, trasferendole in tre rifugi provvisori riforniti di cibo ed acqua. Abbiamo poi distribuito dei secchi con kit igienici, pensati per chi deve rimanere fuori di casa tre giorni».

Solitamente è la popolazione che vive sul fiume quella più vulnerabile. «Le esercitazioni sono importantissime per preparare le persone all’emergenza. Noi poi lavoriamo a strettissimo contatto con la protezione civile a livello comunale e con i volontari locali. Abbiamo fatto corsi di formazione e sviluppato una piattaforma di e-learning in cui spieghiamo tutte le tappe di un intervento, attivando poi anche progetti che appartengono al cosiddetto small-case mitigation work, ovvero la costruzione di piccole infrastrutture per favorire l’evacuazione, come ponticelli e scalette e quella di muri e gabbioni di contenimento». Adesso è il momento della preparazione all’emergenza. «Stiamo valutando lo stato dei rifugi e stiamo studiando la traiettoria. Da qui a due giorni si avranno dati più precisi sulla destinazione e su quante persone bisognerà evacuare».

Ad aiutare addetti ai lavori e civili nell’affrontare la crisi, una mappa aperta, dove è possibile verificare quali sono le zone vulnerabili, i rifugi, gli ospedali agibili e i negozi aperti che vendono derrate alimentari.

«La risposta all’emergenza Irma è stata davvero molto buona. Tutti sono stati messi al sicuro. Questa volta è andata bene, ma non bisogna mai abbassare l’attenzione», continua Febei. «La protezione civile si è rafforzata moltissimo ma qui non ha ancora un inquadramento legale, il che sarebbe fondamentale, anche per garantire ai volontari un’assicurazione e incentivare così sempre più persone a partecipare».

Haiti è ancora uno stato debole, dal punto di vista finanziario e tecnico. «È questa la sfida più grossa, perché non vogliamo sostituirci alle istituzioni locali, ma coinvolgerle attivamente. Sono stati fatti enormi passi avanti, ma bisogna evitare la dispersione delle risorse».

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