Economia

Così parlò Tremonti.b«Realisti, non pessimisti»

Banche&crisi L'intervento del ministro dell'Economia all'assemblea delle Bcc

di Redazione

«Basta sostenere
la domanda individuale per consumi superflui a debito. Oggi il governo e il sistema di credito devono sostenere la domanda di bisogni collettivi. Così, mettendo
il “noi” davanti agli interessi individuali si uscirà
dalla crisi». Le parole
del ministro davanti
a mille quadri
del Credito cooperativo Lunedì 24 novembre, l’annuale assemblea di Federcasse, l’associazione delle banche di Credito cooperativo, si è tenuta alla presenza del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Nel suo intervento Tremonti ha analizzato la natura della crisi e individuato delle prospettive di uscita dalla crisi, che ci è sembrato utile e interessante riassumere in questa pagina.

Credito cooperativo
Quando ho visto il titolo della vostra rivista mi è venuto questo pensiero: mi sembra un caso in cui l’aggettivo migliora il sostantivo, credito.

Una crisi globale
La crisi è globale in due sensi, perché ha estensione globale ed è globale perché ha origine e radice nella globalizzazione. È stato un processo di dimensioni epocali, che è avvenuto in un lasso di tempo troppo stretto, a causa di scelte economiche e politiche di cui oggi misuriamo le conseguenze. Nel 1994 viene siglato a Marrakesh l’accordo sul commercio mondiale, nel 2001 l’Asia entra nell’accordo. Un numero di anni troppo piccolo per un fenomeno di queste dimensioni. Ma comincia ad essere evidente che, terminata la guerra fredda, l’asse economico degli Stati Uniti si sposta dall’Atlantico al Pacifico, in un patto economico con l’Asia dove l’Asia riveste il ruolo di produttrice di merci a basso costo, e l’America di compratrice a debito: a debito interno, i mutui; e a debito esterno, il deficit.

I quattro punti della crisi
Ecco le ragioni che hanno determinato l’intensità della crisi che stiamo vivendo oggi.
Primo. Per secoli i banchieri hanno raccolto denaro sulla fiducia e lo hanno prestato valutando il merito proprio del rischio. Invece oggi è intervenuta una mutazione radicale in questo sistema: la possibilità di trasferire il rischio strutturandolo in prodotti da piazzare sul mercato, determina una paradossale ribaltamento della logica. Più fabbrichi di questi prodotti e più li cedi, meno rischi e più guadagni.
Secondo. È stato detto che questa crisi è stata causata dalla deregulation. È vero solo in parte. L’Europa, ad esempio, è un’area fortemente regolata eppure non è affatto immune da questa crisi. In effetti c?è stata una deregulation nella materia finaziaria, avviata dalle quattro leggi approvate negli anni 90 dal congresso americano. Tuttavia la causa è più profonda e non è nella riduzione delle regole, ma nella possibilità che molti operatori hanno avuto, nella nuova geopolitica del mondo, di collocarsi fuori dalle regole. Non di sfruttare una caduta di intensità delle regole, ma di mettersi fuori da ogni giurisdizione. Di mettersi in Paesi di aree dove l’unica regola è quella di non avere regole. Nei regni dell’anomia.
Terzo. Il capitalismo nasce sulla struttura della società per azioni, sulla struttura del bilancio. Oggi invece una parte influente del capitalismo si è affermata fuori dallo schema della spa: gli edge fund, gli equity fund rappresentano strutture evolutive rispetto a quel modello di capitalismo. Invece il sistema dei controlli è rimasto fermo alle società per azioni, e quindi è impotente davanti a questi nuovi meccanismi che si pongono fuori dallo schema del capitalismo tradizionale.
Quarto. Il capitalismo si basa sulla struttura della partita doppia, che inizia dal conto patrimoniale e arriva al conto economico. L’uno con l’altro, non l’uno senza l’altro. La trasformazione degenerativa che ha segnato il capitalismo di questi anni, è la caduta di rilevanza del conto patrimoniale e il crescere dell’importanza esclusiva e dominante del conto economico. Si è dimenticato che il conto patrimoniale è il mondo dei valori quindi lì è custodito il senso della missione di una società, e quindi anche il suo futuro. Il conto economico, così liberato, è diventato tutto funzionale alla logica dello shareholder value, e del capitalismo take away.

Come uscirne
Come la crisi è stata globale, così dovrà essere anche il cambiamento. Non se ne esce da soli. L’impatto è sociale e locale, ma non esistono via di uscita nazionali. Quello che ogni governo deve e può fare è salvaguardare la tenuta della struttura sociale ed economica di un Paese. Per 15 anni abbiamo tutti immaginato che il paradigma dello sviluppo consistesse nella moltiplicazione dei beni di consumi, non importa se superflui, non importa se comperati a debito. È un modello che si è drammaticamente piantato. Oggi il dovere morale è di sostenere i bisogni primari. È arrivato il momento di cambiare modello di sviluppo, di smettere di sostenere la domanda per beni di consumo provati e di sostenere invece la domanda di investimenti all’insegna del bene collettivo e generale.

Il sistema Italia
È più solido di quanto noi stessi crediamo. È vero, siamo emittenti del terzo debito pubblico del mondo, ma il debito pubblico non è l’unico nell’economia di un Paese, perché esiste anche quello privato. E lo stato di salute vero lo si ha misurando i due debiti consolidati. Allora si vede che l’Italia ha un debito complessivo pari al 125% del Pil, la Germania è al 135. E poi riscopriamo di essere il secondo Paese manifatturiero d’Europa, e non è affatto un disvalore?

Realismo e pessimismo
Essere realisti è la posizione giusta. Ma essere realisti è molto diverso dall’essere pessimisti. Il pessimismo ti nega il futuro, ci consegna a un futuro senza futuro: è un circolo vizioso che genera rassegnazione e quindi altro pessimismo. E altra povertà, sia materiale che civile. Essere realisti significa invece sapere che la crisi c’è ma che la crisi può indurre a spostarsi su dinamiche più positive. Ad esempio induce a capire che non esistono solo le storie individuali positive, ma anche quelle collettive. La crisi fa capire che c’è un dovere morale di agire insieme, di avere una dimensione della responsabilità collettiva verso il futuro, perché il fare insieme dà un risultato migliore rispetto alla somma degli sforzi individuali. L’unità è un valore che va perseguito, è il valore di chi coopera. Ho detto queste cose convinto di rivolgermi a uomini e donne che sono liberi e forti.


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