Sostenibilità

Così metteremo fine al turismo “un tanto al chilo”

Renato Soru, presidente della Regione autonoma della Sardegna, spiega la filosofia del piano paesaggistico

di Redazione

Il Piano paesaggistico regionale è stato adottato dalla giunta. Questa legge permette di massimizzare il risultato, la necessità di sviluppo che noi vogliamo cogliere utilizzando anche il nostro ambiente. Per quale motivo? Perché l?utilizzo migliore non può essere semplicemente quello di vendere il nostro ambiente al migliore offerente e nel più breve tempo possibile, e poi rimandare i nostri problemi fra qualche anno. È capitato questo, il turismo era vendita dei terreni, vendita delle aree fabbricabili, realizzazione di metri cubi dentro le aree fabbricabili. Si è pensato che il turismo fosse questo: la vendita al miglior offerente, quasi sempre venuto da fuori. Ci vuole meno di un anno per costruire un villaggio turistico, per costruire altri trentamila, quarantamila metri cubi. Poi l?anno successivo il problema è nuovamente daccapo. E occorre un altro villaggio da costruire, ne occorrono cinquanta da costruire tutti gli anni ma questo può accadere per un anno, per due, per altri tre, per cinque, ma tra dieci anni arriverà un momento in cui una seconda casa in più in Sardegna non varrà niente, semplicemente perché sarà a fianco a tante altre seconde case che non vorrà più nessuno perché nel frattempo l?ambiente sarà cancellato. Questa legge si pone il problema di come utilizzare al meglio il proprio ambiente per dare una possibilità di sviluppo di lungo periodo per la Sardegna. Ci sono seconde case che rimangono vuote anche per dodici mesi all?anno, ci sono già villaggi turistici che iniziano a essere quasi dei ruderi: ma mentre i ruderi delle città vecchie sono anche belli da vedere i ruderi dei villaggi turistici sono semplicemente discariche. Pensate invece alla nostra ricchezza, che a chi viene gli fa trovare tremila anni di storia, gli fa trovare una civiltà nuragica che noi non abbiamo ancora compreso, non abbiamo ancora capito cosa doveva essere la Sardegna popolata di 40mila torri nuragiche, altissime, dappertutto, in un mondo cosi disabitato com?era allora. Abbiamo una storia millenaria, dove migliaia di anni fa si facevano piccoli capolavori di arte, bellissimi, modernissimi ancora oggi. Fondevano il bronzo, dalle parti di Cabras si facevano le prime ciclopiche sculture mediterranee, ancora prima che ci fossero i kuros dei greci. Ci sono centinaia di chiese romaniche in Sardegna, bellissime, che appaiono all?improvviso nella campagna, c?è un paesaggio antropizzato fatto di muretti a secco edificati in centinaia di anni, ci sono piccoli paesi, chiese, statue dentro le chiese, retabli del Rinascimento, c?è una lingua, anzi ce ne sono diverse, c?è una musica. E allora vogliamo concentrarci sui nostri punti di debolezza o vogliamo pensare che abbiamo una via diversa, quella della valorizzazione del nostro patrimonio culturale, storico, artistico e identitario? Poi, per chi il turismo? Noi abbiamo responsabilità di sviluppare la società sarda, questo milione e 600mila cittadini che vivono in Sardegna. Abbiamo bisogno innanzitutto di pensare a loro, a tutti loro, a quelli che abitano lungo le coste, e quelli che abitano anche un po? più lontano, che abitano nell?interno, quei paesi che tendono allo spopolamento, quei paesi dove c?è molta della nostra identità. E allora il turismo un tanto al chilo può servire al padrone oggi di un lotto di terreno sulla costa, a quelle quattro-dieci persone interessate a un po? di posti di lavoro tre mesi all?anno e quasi sempre non in regola. Ma il turismo al quale miriamo noi, mette in gioco tutti quanti: mette in gioco anche chi fa il pane carasau, chi alleva le pecore, chi produce latte, formaggio, vino, chi continua a fare artigianato. Mette in gioco tutta quella società che continua a vivere nei paesi dell?interno per fare altri mestieri in Sardegna; anche perché noi vorremmo una Sardegna che viva di tanti mestieri e non solo di Disneyland o offerta turistica. Allora, per chi il turismo? Per tutti i sardi. E allora forse, piuttosto che assistere passivamente all??estrazione ? del turismo, vorremmo vivere proprio il turismo.


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