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Così l’Opera Don Orione risponde all’appello di Papa Francesco

«Occorre una carità intelligente. Una buona accoglienza significa aiutare vite in pericolo e trasformare un problema in risorsa», dice Don Fulvio Ferrari, economo generale della Congregazione

di Marina Moioli

Dopo l’invito di Papa Francesco ad accogliere i migranti la complessa macchina della Chiesa italiana (27.133 parrocchie e 226 diocesi, 33.714 preti diocesani, 84.406 religiose professe, 7.723 istituti secolari) si è subito messa in moto.

In prima fila c’è l’Opera don Orione, che ha già accolto in alcune città un certo numero di richiedenti asilo, come ha ricordato il superiore generale don Flavio Peloso in una lettera inviata a tutti i Confratelli di Europa in cui scrive tra l’altro: «La nostra Congregazione sta già facendo qualcosa in tale senso. Dobbiamo con fede accettare questo invito all’accoglienza dei “desamparados”, dei “profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame”. È una emergenza di rilevanza italiana, europea, mondiale. Si presenta con aspetti politici e umanitari che vanno affrontati insieme, ma anche tenuti distinti, aiutando le persone nel rispetto delle attuali leggi dello Stato e in attesa di altre migliori».


A illustrare a “Vita” l’impegno all’accoglienza dell’Opera Don Orione è Don Fulvio Ferrari, economo generale della Congregazione.

Dopo l’appello di Papa Francesco si è accesa una grande attenzione, ma voi avevate già avviato da tempo progetti di accoglienza in varie località…
Abbiamo preso l’impegno solo dove era possibile anche perché abbiamo parecchie persone da tutelare e quando ci sono disabili o malati psichici non è possibile accogliere anche migranti nella stessa struttura. Ma già da due anni, ad esempio, accogliamo una quarantina di richiedenti asilo in provincia di Genova (25 a Camaldoli e 20 a Salita Angeli), mentre a Seregno, in provincia di Milano, altri 22 sono ospitati da un anno. Dal mese di maggio sono disponibili 18 posti vicino a Udine e tra pochi giorni a Tortona, in provincia di Alessandria, verrà messo a disposizione un alloggio ristrutturato per 30 persone. E ci stiamo muovendo per accoglienze brevi nel tempo e di poche persone anche a Reggio Calabria e a Floridia, in Sicilia.

Qual è il vostro modello di accoglienza?
Per noi è sempre meglio che ci sia un percorso di integrazione, di inclusione. Tendiamo anche a uno scambio culturale. Ad esempio a Udine, dove operiamo in collaborazione con la Caritas diocesana che si è fatta garante con la Prefettura, c’è sempre la presenza nella struttura di un operatore o di un tutor per insegnare piccole attività che consentano poi un inserimento lavorativo. Quelli che pensano di fare accoglienza riempiendo di profughi un albergo sono sulla strada sbagliata. Il senso del nostro intervento è quello del Buon Samaritano del Vangelo, non deleghiamo.

Ma non si creano difficoltà con persone di religione musulmana?
Questo in effetti è un grosso problema, che per ora è ancora sottovalutato. Il dialogo religioso è impossibile. Perché quello che noi chiamiamo solidarietà, che per noi è espressione di umanità, per i migranti musulmani è solo il volere di Allah. Per noi invece vale l’insegnamento di don Orione di aprire le braccia a tutti e intervenire se c’è un uomo che ha bisogno. Stiamo dando una risposta di carità intelligente, non superficiale. Sempre sperando e spingendo perché la politica faccia un passo in più.

Che risposta dovrebbe dare la politica?
L’Europa è del tutto assente. Non è con gli slogan che si vincono le battaglie. Invece dalla Germania è venuta una risposta molto intelligente perché i siriani sono persone preparate. Sicuramente sapranno inserirsi e imparare la tecnologia tedesca in modo poi da poter ritornare un giorno in Siria, perché certamente molti vorranno tornarci una volta finita la guerra, e mettere in pratica ciò che avranno imparato. In questo caso c’è una visione lungimirante e la capacità di trasformare il problema in una risorsa. Anche noi dovremmo imparare questo tipo di integrazione vantaggiosa.

L’Italia sbaglia nel fare accoglienza?
Noi stiamo facendo una politica passiva, mentre con un po’ più di buon senso si potrebbe fare un’accoglienza diversa. Se fosse possibile far lavorare questi migranti, anche con piccoli lavoretti di pubblica utilità, anche la gente li vedrebbe con occhi diversi. In Italia c’è la politica di tutelare tutti e così si finisce per non tutelare nessuno. Manca del tutto una visione.

(Nella gallery i migranti al centro don Orione di Reggio Calabria)

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