Non profit

Così lo vede l’Agenzia

L'organismo presieduto da Stefano Zamagni ha elaborato una proposta di legge per introdurre il 5 per mille nel nostro ordinamento legislativo

di Gabriella Meroni

Un 5 per mille stabile, senza tetti, con meno destinatari e soglie di sbarramento finanziarie per favorire le realtà più piccole. Ecco i desiderata dell’Agenzia per le onlus, che, come annunciato più volte in passato, ha prodotto il 5 settembre un documento-proposta su «una disciplina legislativa per razionalizzare e rendere stabile» il 5 per mille.

Dopo aver premesso che il 5 per mille rappresenta un «miglioramento del regime fiscale relativo alle erogazioni al non profit», l’Agenzia affronta il nodo dei beneficiari, passati in tre anni da poco più di 30mila a quasi 80mila, con l’introduzione delle associazioni sportive dilettantistiche. Secondo Zamagni e soci, invece, la legge dovrebbe comprendere tra i destinatari solo 4 soggetti: onlus, associazioni di promozione sociale, associazioni e fondazioni riconosciute operanti nei settori previsti dall’articolo 10 della legge 460 e fondazioni nazionali di carattere culturale. Niente Comuni, niente sport. Quanto alle procedure, semplificazione massima grazie a un elenco permanente dei beneficiari (modificabile solo con i nuovi ingressi) e nessuna documentazione aggiuntiva richiesta alle organizzazioni (onlus e aps) iscritte in pubblici elenchi.

Sulla rendicontazione delle somme, l’Agenzia ha le idee chiare: via l’obbligo di rendicontazione separata (varata quest’anno), è sufficiente una «comunicazione sociale» delle modalità di utilizzo dei fondi, magari su un sito istituzionale – probabilmente, diciamo noi, legato all’Agenzia – a disposizione degli enti che dovessero ricevere contributi superiori a una certa soglia. Ovviamente, ribadisce il documento, dovrà sparire dal 5 per mille qualsiasi limite di spesa, e dovranno essere accelerate le procedure di pagamento, viziate oggi da «notevolissimi e ingiustificati ritardi». Per farlo, la strada è una sola: sottrarre i fondi alle competenze dei singoli ministeri (Sanità, Università, Lavoro ecc.), farli rimanere nel bilancio del Ministero dell’Economia e far gestire le erogazioni all’Agenzia delle Entrate, che dispone di diverse modalità di pagamento – tra cui il mandato collettivo – che velocizzano le erogazioni.

Fin qui, le idee più «tradizionali» dell’Agenzia. Dove invece i saggi di via Rovello spiccano un salto nel terreno delle novità è al punto 6 della proposta, dove si parla di «polverizzazione» delle scelte. Come evitarla? Primo: stabilire una soglia minima («ad esempio 100 euro») al di sotto della quale il 5 per mille non si attribuisce all’ente cui è destinato, ma confluisce nel fondo indistinto delle quote non assegnate (quelle senza codice fiscale) che poi è ripartito proporzionalmente tra le associazioni che hanno ricevuto più di quella soglia (100 euro); secondo, stabilire un’altra soglia, questa volta massima (poniamo: 10mila euro), al di sopra della quale i beneficiari perdono il diritto alla quota del fondo indistinto.

Non è chiaro? Esempio: se l’associazione A ha racimolato 40 euro, non riceve nulla; se l’associazione B ha diritto a 5000 euro, prenderà i 5000 più una quota del fondo indistinto (fino a 10mila euro); se all’associazione C spettano 12mila euro, prenderà solo quelli. Complicato? Non per l’Agenzia, che è certa: in questo modo si eviterebbe «il costo burocratico di gestione di importi di fatto insignificanti».

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