Famiglia

Così la vita si fa largo tra i ragazzi offline

Come stanno i ragazzi? Gli educatori di 11 Comuni della Marca trevigiana lo hanno chiesto a 500 studenti di prima media. Poco più di un terzo racconta di emozioni positive. Anche se nemmeno in lockdown la crescita si ferma: amori e amicizie cercano nuove strade. «È forte il bisogno dei ragazzi di dire e di essere ascoltati, più intenso degli scorsi anni»

di Fabio Della Pietra

Come stai, come ti senti, quali emozioni ti accompagnano in questo periodo della tua vita? Sono solo alcune delle domande rivolte a 500 ragazze e ragazzi di 25 classi prime delle scuole secondarie di primo grado di 11 Comuni dell’area coneglianese. Codognè, Gaiarine, Godega di Sant’Urbano, Mareno di Piave, Orsago, San Fior, Santa Lucia di Piave, San Pietro di Feletto, San Vendemiano, Susegana e Vazzola sono alcuni dei 28 Comuni della Sinistra Piave dove è presente il servizio di Operativa di Comunità dell’Ulss 2 Marca Trevigiana, all’interno del quale le equipe di educatori e educatrici della Cooperativa sociale Itaca, che gestisce l’OdC, stanno realizzando in questi giorni una serie di laboratori educativi in classe e in presenza. Entro maggio verranno coinvolte ulteriori 70 classi dalla prima alla terza media e 20 classi quarte e quinte delle scuole primarie, per un numero complessivo di 2.300 ragazzi nella fascia 9-14 anni.

Gli obiettivi dei laboratori sono articolati e mirano a sviluppare relazioni positive in classe, stimolare la conoscenza tra i ragazzi, favorire la comprensione delle dinamiche del gruppo. Le attività sono quanto più possibili interattive, nonostante le diverse limitazioni dettate dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Il grafico qui riportato rappresenta un esempio delle risposte date dagli studenti di una classe prima di Codognè relativamente allo stato d’animo di questo periodo.

TORTE O PIZZE

La realizzazione del grafico viene fatta classe per classe, in diretta: grazie alla buona strumentazione di lavagne Lim e pc presenti in aula, consente a tutti di visualizzare le risposte del gruppo. A partire da questa prima attività, che promuove la consapevolezza del proprio e dell’altrui stato d’animo, gli educatori accompagnano gli studenti a condividere le proprie riflessioni, stimolando il dialogo e il confronto con i compagni, per comprendere se in classe tutti si sentano a proprio agio e percepiscano un clima sereno e di reciproco rispetto. A volte qualche studente sente il bisogno di socializzare con i compagni le sue difficoltà: in quel caso l’equipe favorisce l’ascolto e condivide quanto emerso con il gruppo.

Le classi incontrate sono tante e la composizione delle torte (o pizze, come suggerisce qualcuno verso l’ora di pranzo) è un caleidoscopio di colori e di fette dalle dimensioni diversissime, un grafico sempre diverso per ogni classe, un’altalena di emozioni variopinte, mai uguali. Dire come stanno i ragazzi in questo periodo non è facile e generalizzare non è possibile.

Nel grafico riportato sopra, le emozioni positive come gioia (17%) e felicità (17%) sono presenti nella classe in meno della metà del gruppo, il resto è colorato da tristezza (17%), ansia e preoccupazione (13%), rabbia (13%), paura (8%), noia (4%) che prontamente fanno nascere in educatori e insegnanti in ascolto alcune domande aperte: perché questi stati d’animo? Da che cosa sono generati? Quali i possibili riscontri tra questi vissuti e la situazione che stiamo affrontando?

LE PAROLE DELLE EMOZIONI

In ogni classe i ragazzi usano parole diverse per definire le loro emozioni, tanto che una stessa parola non sempre corrisponde alla medesima emozione per tutti: dolore, incertezza, perplessità, stranezza, solitudine, agitazione, sconforto, amore, serenità, divertimento. Quante di queste emozioni sono riconducibili ai vissuti della pandemia?

Gli educatori in classe cercano di comprendere gli stati d’animo che i ragazzi mostrano in quel momento, perché tutti possano partecipare e trovare posto senza esclusione, senza sentirsi estranei, diversi, incompresi, giudicati. Ciascuno sta nel proprio banco con il proprio carico nel cuore, con tanti pensieri nella mente, oppure con un chiodo fisso, con le farfalle nella pancia, con quel non so che non si riesce a dire, ma che porta anche a piangere silenziosamente…

I RAGAZZI VOGLIONO ESSERE ASCOLTATI

«Quello che possiamo raccontare di questi mesi di incontri a scuola, da settembre ad oggi – riferiscono gli educatori della Cooperativa Itaca – è il forte bisogno dei ragazzi di dire e di essere ascoltati, più intenso degli scorsi anni. C’è meno bisogno di dedicare del tempo alla conoscenza tra gli educatori e la classe perché il clima diventi quello delle confidenze e ci sono meno studenti da riprendere perché disturbano o si distraggono: l’interesse è più alto. All’attività delle emozioni segue il racconto personale di ciascuno per spiegare meglio quello che prova.

Ho scritto paura per tutte le volte che sento delle notizie brutte al telegiornale e mi preoccupano, e tristezza perché da quando è cominciato il Covid certi amici mi parlano alle spalle e dopo mi scrivono su WhatsApp se sono triste… E poi ho paura che succeda qualcosa a mia nonna che si deve operare, ma essendo in questo periodo sono preoccupata.

NON SOLO COVID

Un ragazzo chiede: “Posso parlare anche di una paura momentanea?”. E racconta del timore per il padre che lavora in rianimazione, del timore di perderlo a causa del suo lavoro, un timore totalizzante, di quelli che accompagnano anche durante le lezioni. Il bisogno di raccontarsi è forte e parlando di tante cose, anche d’altro rispetto al Covid-19, perché la vita comunque si fa spazio e l’energia della crescita è potente: “Le emozioni che mi accompagnano in questo periodo sono il coraggio, perché affrontare le medie non è mica uno scherzo; il divertimento perché ci si diverte di più delle elementari; la felicità perché si cambia il corpo, ma soprattutto il cuore e il cervello”.

Un altro ragazzo si rivolge direttamente alla classe: “Si alzi in piedi chi è innamorato!”. Tanti accolgono l’invito, nella meraviglia generale. I primi innamoramenti, le nuove amicizie si fanno largo come sempre, anche se lo sfondo è drasticamente cambiato. Le questioni importanti nella vita di questi giovanissimi sono la solitudine o i genitori che si separano, e a questo si aggiungono le preoccupazioni legate alla pandemia, come la paura della morte dei prori cari, dei genitori, ma soprattutto dei nonni, il punto di riferimento per tanti pomeriggi. Oppure la paura di morire giovani e la paura di morire nudi: una paura così strana che inizialmente, detta ad alta voce, fa scoppiare la classe in una risata; ma poi si torna in sé e la commozione prevale. Si parla maggiormente di perdita e di lutto, del dolore ancora vivo e inconsolabile.

LA DISTANZA FRENA LA CONOSCENZA

«Uno degli aspetti che ci ha maggiormente colpiti entrando in classe» proseguono gli educatori, «è vedere ragazzi meno vivaci, meno affiatati, ancora in fase di conoscenza». “Come si fa a fare nuove amicizie in questo periodo, se non ci si può vedere fuori dalla scuola e fare cose assieme…”, si chiedono i ragazzi. «Per questo motivo sono importanti le attività educative che si realizzano in presenza, perchè diventano un’occasione in cui essere se stessi e conoscersi. Quando la paura più grande è quella che tutto possa cambiare nuovamente, dall’oggi al domani, ci si sente insicuri. È difficile fidarsi della situazione e immaginare quale sarà il domani».

E così la commozione di un compagno si allarga presto ad altri: Erano anni che non piangevo”; “Non mi immaginavo che il mio compagno potesse soffrire così”. Quando le emozioni esplodono con tale intensità, la presenza dell’adulto è fondamentale per accogliere, contenere, condividere, lasciare libertà di espressione, far sentire empatia, comprensione. Il ruolo dell’educatore, in un momento in cui il rapporto scuola-genitori è fragile, facilmente perturbabile, diventa necessario per dare nuova definizione alla fiducia reciproca.

IL PATTO SCUOLA-FAMIGLIA VA RIVISSUTO

Il rapporto con i genitori è stato messo a dura prova durante il lockdown, quando padri e madri si sono sentiti investire di un ruolo che non era il loro, quello di insegnante: “A casa dovevo fare da maestra ai miei figli, allora adesso ti dico io come è meglio insegnare”, confida una mamma. E, nell’incertezza, succede che ciascuno investa l’altro delle responsabilità (e mancanze) maggiori.

Il patto scuola-famiglia va ridefinito e rivissuto a fronte delle nuove necessità. «I genitori che abbiamo incrociato negli incontri formativi “Scuola bene comune” sono molto preoccupati che le restrizioni sociali come il distanziamento fisico, il non potersi scambiare il materiale scolastico, il non tenersi per mano, il non abbracciarsi possano, a lungo andare, diventare abitudine; sono comportamenti che poco si conciliano con i valori della collaborazione, dell’aiuto reciproco, della vicinanza emotiva con cui ogni genitore desidera crescere i figli».

LA DAD E IL CALO DELLA MOTIVAZIONE

Il rischio è che la DAD si traduca in mera trasmissione di conoscenze, incentivando il ruolo passivo di chi è a casa. La voglia di apprendere e la proattività sono compromesse e la motivazione cala. Il senso dell’impegno non è un concetto astratto, ma si conosce attraverso il fare, il fare bene e in modo continuativo. Un ragazzo incontrato per strada dice: “Ho iniziato le superiori quest’anno. Ho fatto il primo mese in presenza e… Sembrava potesse essere bello!”. Lo dice con uno sguardo e un’intonazione che raccontano molto altro. “Vuoi mettere prendere l’autobus, entrare in un mondo fatto di nuove libertà, nuove scoperte?”. Lo dicono come se sapessero che alcune cose sono perse e non torneranno nello stesso modo: ricominciare tra un mese in presenza o direttamente in seconda superiore, non sarà la stessa cosa. Altri raccontano che ormai è una sfida a chi ha la media più bassa: 2,8 uno, 3,8 l’altro. Dicono che al rientro in presenza hanno già 7 giorni di sospensione da “scontare”, ma che più di tanto, stando così le cose, non gliene importa. Raccontano di molti ritardi e uscite senza permesso, che stando in DAD non immagineresti mai possano essere collezionati. «Manca la parte umana, lo stare insieme tra pari… Addirittura mi manca vedere dal vivo gli insegnanti».

NON È FACILE FARE I COMPITI SULLO STESSO TAVOLO IN CUI SEGUI LE LEZIONI

E la leggerezza, la simpatia, sono sparite del tutto? Alcuni ragazzi, in una classe che ha dovuto sottoporsi al tampone, ci hanno tenuto a raccontare del video che diversi di loro si sono fatti, subito condiviso via WhatsApp nella chat di classe. Come è cambiato l’uso della tecnologia, lo strumento che fa sentire comunque vicini anche se distanti? I ragazzi e le ragazze dai 14 ai 17 anni incontrati per strada o al campetto (che, anche se non si può, frequentano almeno finchè la polizia locale non li invita ad andare a casa), dicono che sono stanchi della DAD: «All’inizio sembrava tanto bello ma ora ci fa sentire soli, ci lascia una senzazione sospesa, incompiuta». Un ragazzo aggiunge: «Non è mica facile fare i compiti sullo stesso tavolo in cui segui le lezioni!».

QUELLA VOGLIA DI CONDIVIDERE I PENSIERI

Ognuno ha il suo pensiero e la sua opinione e tutti sono ben disposti a condividerli. Qualcuno parla del lavoro, del futuro e chiede consiglio, chiede agli educatori come si evolverà la situazione. Durante un laboratorio (realizzato online) rivolto agli studenti rappresentanti di classe di una classe prima di scuola secondaria di primo grado, alla domanda "Come state/come vi sentite?" le risposte sono state: Chiusa in gabbia – spaesato – in confusione – bene/si studia meglio – è più difficile fare tutto – ho perso le abitudini – sono positivo rispetto al rientro a scuola – Normale, non mi cambia la vita perchè non uscivo neanche prima – In tensione/confusione – ansia – stressato e nervoso (perchè non esco mai) – deluso per la chiusura della scuola – Curioso. E ancora: incertezza, tranquillo ma sulle spine, in disordine, pesante, scoraggiato, in confusione, sto bene, rinchiusa, stressata, in tensione, nervoso, deluso.

LE VIDEOCHIAMATE SONO L’UNICA SALVEZZA

I pomeriggi sono vuoti, liberi da qualsiasi impegno e così anche le attività degli educatori sono cambiate. «In alcuni casi è stato possibile mantenere delle piccole proposte in presenza, in altri la modalità online diventa l’unico strumento per mantenere i contatti. Ci si ritrova a progettare concorsi, a scrivere libri sul lockdown, giornalini, video, a sfornare dolci ognuno dalla propria cucina, a fare origami, a ragionare assieme sul metodo di studio e molto altro. Tutti nelle loro case, con le loro famiglie, ma senza amici vicino… Le videochiamate sono l’unica salvezza: si svolgono assieme gli esercizi, ci si interroga reciprocamente, si scambiano due chiacchiere, si mangia la merenda, si guarda addirittura un film…».

LA PANDEMIA HA APERTO NUOVE STRADE

I giovani che abbiamo incontrato «ci dicono che la pandemia non ha bloccato o sospeso le loro vite, sono state necessariamente trasformate le modalità di relazione con gli altri. Ma i pensieri, le amicizie, la condivisione, l’amore hanno trovato nuove strade. La spinta alla crescita è inarrestabile e noi adulti dobbiamo aiutarli a comprendersi più che comprenderli, ad ascoltarsi nel profondo, a riconoscere le proprie emozioni e sentimenti».

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