Welfare

Così la solitudine impatta sulla salute

Per invecchiare in salute non bastano le relazioni parentali, amicali e di buon vicinato ma è necessario anche essere inclusi in reti territoriali e avere punti di riferimento associativi. I dati del progetto di ricerca Tapas in Aging – Time and Places and Spaces in Aging condotto dal Besta in collaborazione con Auser

di Redazione

Dimmi su quante persone puoi contare e ti dirò come stai. Se questo è vero sempre, a qualsiasi età della vita, dopo una certa età è ancora più evidente come salute, qualità di vita e benessere bio-psico-sociale dipendano strettamente dalla presenza di una solida rete di contatti. Quel che il buon senso da sempre dice, oggi viene dimostrato dalla ricerca: chi ha una rete solida di relazioni o è parte attiva di un’associazione non solo riesce a gestire più efficacemente ogni situazione, indipendentemente dalla condizione economica individuale, ma ha anche una salute migliore. Detto altrimenti, per invecchiare in salute non bastano le relazioni parentali, amicali e di buon vicinato ma è necessario anche essere inclusi in reti territoriali e avere punti di riferimento associativi.

I dati scientifici sono quelli dello studio “Tapas in Aging – Time and Places and Spaces in Aging”, condotto su oltre 400 over50 residenti in Lombardia e afferenti ad Auser Lombardia come volontari o utenti. Il progetto biennale era coordinato dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano in collaborazione con AUSER Regionale Lombardia e finanziato da Fondazione Cariplo. I risultati sono stati presentati il 24 settembre.

Le interviste sono state condotte da gennaio 2020 a giugno 2021, in presenza prima della pandemia, poi online o al telefono. Oltre il 60% degli intervistati riferisce di sentirsi in buona salute e le migliori autovalutazioni arrivano da chi presta servizio come volontario, quindi da chi già appartiene a una rete solida su cui poter contare. Le persone che gli intervistati sentono più vicine sono in media 9, ma sono solo da 3 a 5 quelle che pensano di poter chiamare per un’urgenza, nel momento del bisogno. All’aumentare della solitudine, la ricerca rivela che la qualità di vita diminuisce in maniera sensibile mentre aumenta il grado di disabilità, a conferma dell’impatto negativo della solitudine sullo stato di salute. I risultati della ricerca TAPAS quindi confermano l’importanza di appartenere a una rete sociale e allo stesso tempo dimostrano quanto i fattori ambientali siano fondamentali per il benessere della persona, anziana e non.

«La salute in età avanzata non dovrebbe essere definita dall'assenza di malattia. L’invecchiamento in buona salute è infatti realizzabile da ogni persona, è un processo che consente alle persone anziane di continuare a fare le cose che sono importanti per loro», dice la dottoressa Matilde Leonardi, coordinatrice della ricerca TAPAS e Direttore della UOC Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità del Besta. Da oltre 10 anni il Besta coordina ricerche internazionali e nazionali sul ruolo di spazio, tempo e relazioni come determinanti di salute e tanti progetti hanno già dimostrato come per invecchiare in salute sia necessario agire su questi fattori ambientali per renderli facilitatori e non barriere. «Quando si tratta di salute, come dichiara anche l’OMS, non c'è nessuna persona anziana 'tipica': l'invecchiamento biologico è solo vagamente connesso con l'età della persona. La salute in età avanzata non è casuale: in alcuni casi riflette l’eredità genetica, ma spesso è influenzata proprio dall’ambiente fisico e sociale in cui la persona anziana vive. Parliamo di opportunità, di relazioni e di comportamenti. Per gli anziani intervistati in TAPAS sapere di essere inseriti in una rete associativa come Auser è stato di grande aiuto, prima e durante la pandemia, e ha evitato che si sentissero soli. Questa è la grande forza delle reti: stare in connessione con gli altri, anche grazie alle nuove tecnologie».

Tutti concetti importantissimi in vista dell’attuale ripensamento della rete sanitaria e assistenziale, nell’ottica della “domiciliarità”. Anche monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e della Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana del ministero della Salute, presente a Milano ha parlato della proposta di riforma assistenziale agli anziani, consegnata di recente al Premier Mario Draghi: «La proposta nasce con l’intento di riportare gli anziani al centro, nelle loro case, nei quartieri, nelle periferie delle grandi città così come nelle aree a rischio di spopolamento. L’obiettivo è creare un continuum assistenziale attraverso servizi di rete sul territorio per tutti gli over 80, la categoria più a rischio di dipendenza e di solitudine. La Carta dei Diritti degli Anziani e dei Doveri della Società ribadisce e approfondisce concetti fondamentali come il rispetto della dignità della persona anche nella terza età, un'assistenza responsabile e una vita attiva di relazione. È dovere delle Istituzioni e della società evitare che l’anziano si senta isolato”.

Per Guido Agostoni, Presidente del Dipartimento Welfare di ANCI Lombardia, «in relazione alle due coordinate di spazio e tempo si deve sempre più esplicitare il ruolo dei Comuni: vicini ai cittadini e sempre presenti, in sinergia con gli altri protagonisti, dalle aziende sanitarie alle realtà del Terzo Settore anche grazie agli strumenti della co-programmazione e co-progettazione da rendere sempre più operativi con i nuovi piani di zona. Secondo questa linea il tema della domiciliarità, cioè del sostegno alla permanenza della persona anziana nel proprio nucleo e nel proprio ambito di vita, è prima di tutto un fatto di civiltà e di cittadinanza».

Foto di Jordan Angelo Cozzi

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