Volontariato
Così la solidarietà vince il match-point
Velasco insegna agli operatori del Terzo settore. Il gruppo non si regge sugli imperativi etici ma sulla convenienza. Si vince quando si ha fiducia di poter cambiare le cose.
Che c?azzecca Julio Velasco, re della pallavolo italiana, ad un convegno sul non profit? Semplice, insegna. Dà lezioni agli operatori del Terzo settore su come essere vincenti, su come aggiudicarsi, con le loro imprese sociali, il match-point della solidarietà.
è accaduto qualche giorno fa, a Modena, su iniziative della Cooperativa Aliante. La lezione del ?professore? argentino ha preso le mosse dalla competizione come dato ineliminabile di ogni attività umana. «Allora, è il caso di saperla capire e gestire», ha esordito, «specie per rendere forti i più deboli, come nel caso delle vostre associazioni».
Comincia con un palleggio che disorienta i volontari: «Si dice che chi fa gruppo è una persona positiva, è buono, è una persona che sa stare con gli altri, e invece chi sta da solo è un individualista», argomenta. «Ma il gruppo non può reggersi su degli imperativi etici: ci sono persone, ognuna con la propria individualità e non si può chiedere a nessuno di sacrificare le proprie capacità in funzione di una generica morale. No: si fa gruppo perché conviene, non perché si è buoni».
Poi è la volta di una schiacciata sotto rete: «Una mentalità vincente la si ha vincendo. Si vince quando si battono gli avversari che ci si è dati, quando si raggiungono gli obiettivi che ci si è prefissati, quando si ha fiducia di poter cambiare le cose». Velasco attacca i «teorici del ?nulla può cambiare?». La cosa fondamentale, chiarisce, «è giocare bene, poter gestire una tattica? cioè mettere in evidenza le proprie virtù, nascondendo i propri difetti». Un buon gioco di squadra, secondo il tecnico, «c?è quando posso contare sui i miei compagni, i quali non hanno forse le miei caratteristiche, ma possono sostenermi nella mie carenze, e viceversa, così che la squadra, insieme, sopperisce alle mancanze individuali». Di nuovo: fare gruppo conviene. Anche se «le differenze individuali sono sempre più difficili da mantenere in un mondo dove girano tanti soldi, in cui è più redditizio essere il giocatore grintoso, quello che sa dove sono le telecamere, e anche se quel giorno non ha giocato benissimo si dirà ?però, che grinta!?». E invece del giocataore che ha giocato bene, ma non ha cercato lo spot, «si dirà ?però con un po’ di grinta in più potrebbe essere un gran giocatore?. Non è vero: ognuno nella squadra ha un carattere, un ruolo naturale e non c’è metodo migliore per giocare male, e perdere, che essere quello che non si è». Ed è a questo punto che il mister piazza una battuta decisiva: «Una mentalità vincente consiste nel perseguimento delle tre ?v?: vittoria contro le proprie difficoltà, contro ciò che renderebbe il percorso più facile. Vittoria contro i propri limiti, per cui non è necessario dannarsi, ma ingegnarsi. E infine vittoria contro un avversario o un obiettivo di livello, non scegliendosi avversari impossibili o inesistenti, ma piuttosto, difficili, ambiziosi». E dal bagaglio di aneddoti di una lunghissima carriera snocciola l?esempio giusto: «Un giorno mi telefona il direttore della nazionale bulgara e mi dice ?vorremmo giocare con voi, verremmo a Rimini?. No, gli ho detto io, veniamo noi a Sofia. Volevo giocare con un grande nazionale in casa loro e non con una squadra in gita, fra locali notturni e spaghetti alle vongole. Fu, allora, l?ultima volta che perdemmo con la Bulgaria». Lo smash è vincente.
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