Welfare
Così la galera ti toglie ogni legame e amicizia
Una proposta che potrebbe forse salvare le famiglie dei detenuti che, così come stanno le cose oggi, sono costrette a subire un continuo e inevitabile inaridimento
In questo disastro delle carceri italiane, raggiunta quota 60mila detenuti, non si capisce neppure più in che cosa sperare. Allora tanto vale sognare, sognare per esempio che qualcuno si decida a tirar fuori dal cassetto quella proposta di legge sugli affetti in carcere, che giace abbandonata dopo essere stata sottoscritta da più di sessanta parlamentari. Una proposta che potrebbe forse ?salvare? le famiglie dei detenuti che, così come stanno le cose oggi, sono costrette a subire un continuo e inevitabile inaridimento, e lo spiega bene la testimonianza di un detenuto del carcere di Padova, che è rimasto solo, o meglio che ha voluto rimaner solo per non costringere i suoi cari all?umiliazione di rapporti limitati a pochi colloqui in condizioni di disagio, di freddezza, di mancanza di qualsiasi vero contatto fisico.
Ornella Favero (ornif@iol.it)
Parlare di affettività, per me, in un posto come il carcere, risulta piuttosto doloroso e difficile, e a dirla tutta, fa male, soprattutto quando vengo sopraffatto dai pensieri che il più delle volte vanno a smuovere e rimestare cose che ho ormai seppellito nel punto più profondo della mia anima. Ho fatto tempo fa la scelta di staccare la spina per non sentire e non stare più male, la scelta più comoda forse, ma molto-molto difficile da realizzare. Mi sforzo di tenere chiuse quelle porte, ma devo tenere duro di brutto per far sì che ciò che sta dall?altra parte non mi travolga e mi faccia a pezzi. Mi ero detto: zero affettività, uguale zero sofferenza, ma non è proprio così.
Ormai sono anni che io non faccio più i colloqui, in quanto l?unica persona che comunque non mi ha mai girato le spalle ora purtroppo non c?è più, era mio padre, è morto nel 2001 mentre io ero in carcere. All?inizio delle mie numerose carcerazioni facevo anch?io i colloqui come la maggior parte delle persone qui dentro, poi, strada facendo, ho iniziato a perdere i pezzi, nell?ordine: la donna, i genitori, le amicizie, e da ultimo il coraggio e la voglia di costruirne di nuove; ho staccato la spina e mi sono messo in stand-by. Guardo gli altri che vanno al colloquio e rivedo me stesso, si preparano, aspettano con ansia il giorno stabilito vanno giù di corsa per ritrovare la propria donna-moglie, riabbracciarla e rubare un bacio, un gesto d?affetto che le faccia capire che ci sei. Poter tenere in braccio per un po? la propria figlia e cercar di stare vicini per tutto il tempo, poi, mettere nuovamente su la maschera che serve per resistere al distacco, dopo un?ora scarsa trascorsa troppo in fretta, vissuta in modo quasi irreale, dove avresti voluto dire chissà quali e quante cose, e invece poi dover vedere nelle persone a te più care solo occhi che lacrimano e doversi sforzare per trattenere le proprie, di lacrime.
Nel nostro paese i sermoni in merito all?importanza e al valore della famiglia si sprecano, ma si guarda il detenuto solo come una persona che deve espiare, quindi per lui c?è la privazione della libertà più un?infinità di altre limitazioni, nessuna libertà neanche ai sentimenti.
Flavio Zaghi – Casa di reclusione di Padova
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