Occupazione

Così il welfare aziendale conquista (anche) il 70% delle pmi

Dal 2016 al 2021 i piani di welfare aziendale sono cresciuti del 480%. È cresciuto molto anche il welfare aziendale offerto dalle piccole medie imprese. I numeri li fornisce Emmanuele Massagli, a partire dalla sua privilegiata torretta di osservazione di Aiwa-Associazione Italiana Welfare Aziendale

di Sabina Pignataro

«I piani di welfare aziendale sono cresciuti del 480% dal 1° gennaio 2016 (entrata in vigore della riforma) al 31 dicembre 2021 (ultimo dato disponibile). Soprattutto nei primi anni si è assistito ad una “emersione” di accordi probabilmente già esistenti, ma non formalizzati perché vietato dalla legge previgente». Lo afferma Emmanuele Massagli, a partire  dalla sua privilegiata torretta di osservazione di Aiwa-Associazione Italiana Welfare Aziendale operativa dal 2017.
«Il  merito di una percentuale di questo genere è da ascrivere alla modernità del welfare aziendale intesa come la capacità di interpretare i cambiamenti in atto nella conformazione dei rapporti di lavoro, nell’oggetto dello scambio tra imprese e lavoratori». 

Il welfare nelle pmi

«Il 70% delle imprese con oltre 250 addetti ha un livello elevato di welfare», spiega l’esperto. «Così come accade anche nel 66,8% delle pmi che hanno tra i 101 e 250 addetti. Ma anche tra le microimprese con meno di 10 addetti è da considerarsi molto positivo che 15 su cento abbiano raggiunto un livello di welfare elevato».
L’universo monitorato da Welfare Index PMI è infatti costituito da 660 mila aziende, metà delle quali appartengono alla fascia delle più piccole, da 6 a 9 addetti. «La loro presenza nel territorio determina una diffusione molto ampia delle iniziative sociali».

Un nuovo ruolo da definire

In un tempo segnato dalla ridefinizione di ruolo e senso del lavoro, è
importante anche per il welfare aziendale capire se e in che modo potrà
operare, ad esempio, nel processo di rivitalizzazione del rapporto soggettivo
con il lavoro all’interno delle aziende. E ancora, se e in che modo riuscirà a
potenziare la capacità delle aziende di competere sul mercato del lavoro
rendendosi attrattive per i lavoratori, in particolare i giovani.
In questo senso, il welfare aziendale non può non ripartire dalle
persone, dalla sua funzione essenziale di promozione del benessere dei
lavoratori, muovendo dalla concezione che questi ultimi hanno maturato del
proprio benessere.

Uno sguardo ai numeri

Nello specifico delle singole tipologie di welfare aziendale, osserva l’esperto, «le erogazioni obbligate dai contratti collettivi nazionali sono quelle che coinvolgono il maggior numero di lavoratori, distribuendo però risorse largamente inferiori rispetto a quelli, regolati e gestiti a livello di singola azienda, che restano la forma più genuina e più creativa di welfare aziendale, nonostante interessi un numero contenuto di realtà».

Il report pubblicato a febbraio 2024 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato che sono stati depositati 92.670 contratti da quando è entrata in vigore la nuova regolazione dei contratti di produttività e 9.903 sono quelli attivi. Tra questi,  oltre il 60% (5.966) prevedono misure di welfare e interessano oltre 1.800 lavoratori, per un importo medio pari a 1.479 euro.

I dati dell’Inps e del Cnel sulla applicazione dei Ccnl permettono di stimare il coinvolgimento di poco meno di 3,5 milioni di lavoratori (quasi la metà nel solo settore metalmeccanico) e oltre 300mila imprese per quanto concerne l’erogazione del welfare obbligata dai contratti nazionali e sconnessa dalla produttività aziendale. Sono circa una quarantina i Ccnl che prevedono misure di questo genere.


Si tratta, in media, di importi modesti, inferiori ai 250 euro, per non gravare organizzativamente sulle imprese (l’individuazione di una cifra inferiore permette anche alle micro e piccole imprese di assolvere l’obbligo erogando semplici buoni spesa o buoni carburante).

I piani on top (interni alle aziende)

Più difficile è invece calcolare il numero dei piani di welfare decisi all’interno della singola azienda ( chiamati anche piani “on top”), non essendoci alcun bacino di informazioni amministrative paragonabile alla banca dati del Ministero del lavoro per quanto concerne i premi di produttività e alla banca dati del Cnel per i contratti collettivi. «L’indagine operata da Secondo Welfare sui soci di Aiwa ha permesso di stimare nel 2019 un numero di imprese interessate da piani di questo genere pari a 4.600, per un complessivo di oltre 600mila lavoratori che ricevono importi medi attorno ai 900 euro», osserva Massagli.
«I numeri sono certamente cresciuti in questi anni, ma non vi è prova certa di questo ed è difficile estrapolare stime credibili dalle (pur numerose) ricerche dedicate a ricostruire il quadro quantitativo del welfare aziendale. E comunque possibile compiere una prima stima del valore economico del welfare aziendale al netto della assistenza sanitaria integrativa e della previdenza complementare gestite dai contratti nazionali: 1 miliardo e 925 milioni».

Cosa è welfare, e cosa no

Il «welfare aziendale» riguarda quelle erogazioni a favore dei lavoratori, con costi a carico del datore di lavoro, di beni e servizi finalizzati ad accrescere il benessere dei lavoratori nella sfera della educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria», spiega Massagli. «Si tratta di un ventaglio molto variegato di beni e servizi di natura sociale destinati tanto ai lavoratori quanto ai loro familiari (con effetti positivi sul clima aziendale e sul benessere organizzativo. Non tutto può diventare welfare, però, l’elenco fissato dalla normativa è piuttosto rigido». Non lo sono ad esempio le polizze vita caso morte o i servizi di mobilità sostenibile, pur essendo entrambi di indubbia natura sociale

Lavoratori sempre più interessati al welfare

Secondo i dati contenuti nel 7° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale tra i lavoratori è in aumento la consapevolezza e l’apprezzamento del welfare aziendale. Oggi l’81,8% degli occupati dichiara di sapere cosa sia il welfare aziendale.
Tra i lavoratori che beneficiano di welfare aziendale l’84,3% lo
vorrebbe potenziato, tra coloro che non ne beneficiano l’83,8% lo vorrebbe
introdotto nella propria azienda. Il 79,5% degli occupati apprezzerebbe un
aumento retributivo sotto forma di una o più prestazioni di welfare.

L’89,2% degli occupati lo vorrebbe personalizzato, con offerte modulate sulle singole esigenze di ciascuno, convinti che in tale forma avrebbe anche impatti positivi sull’engagement. Il 72,4% degli occupati apprezzerebbe un consulente di welfare che li supportasse nell’affrontare eventuali problemi con la sanità, la previdenza, la scuola dei figli ecc.

Foto in apertura di Tim Mossholder by Unsplash

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