Economia

Così il Terzo settore vorrebbe il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Oggi su quattro quotidiani gli interventi di Mario Calderini, Fabrizio Barca, Stefano Granata, Eleonora Vanni, Paolo Venturi e Giampaolo Silvestri con interessanti indicazioni per migliorare e rivedere il PNRR e le modalità di spesa dei Fondi di Next Generation

di Redazione

Nella giornata di oggi tanti soggetti del Terzo settore sono intervenuti sui quotidiani esprimendo giudizi di merito sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza così come è stato reso noto il 13 gennaio dopo le modifiche innescate dal forcing di Italia Viva (in allegato a fondo pagina) in cui si delinea la distribuzione delle risorse del Recovery Plan.

Su La Repubblica, Mario Calderini, Professore Ordinario presso il Politecnico di Milano, School of Management, dove insegna Strategia d’Impresa e Social Innovation, nella pagina degli editoriali in un commento intitolato “Il Recovery senza sentimenti”.

Scrive Calderini: «Il piano di ripresa e resilienza presentato dopo una lunga gestazione, ha preso una forma non entusiasmante ma certamente ordinata e rispettabile. È un documento composto ed educato ma sicuramente non brillante. Il limite principale del piano è di essere totalmente anaffettivo sideralmente distante da un'idea di società attiva, partecipe e protagonista su cui riporre la fiducia». E tra le condizioni necessarie al miglioramento del Piano segnala come «Per una buona esecuzione del piano occorre che la valutazione di impatto delle azioni non si limiti a quella narrazione un po’ fuori dal tempo che emerge oggi dal documento. Una visione puramente ex-ante e vaga».

Anche Fabrizio Barca, economista e presidente del Gruppo Coordinamento del Forum Disuguaglianze Diversità su Il Fatto quotidiano rileva che «La prima “grave lacuna“, secondo il Forum, è il fatto che la maggioranza dei progetti è priva dell’indicazione dei “risultati attesi” (in termini dei benefici per la popolazione) o addirittura indica al loro posto le “realizzazioni” (numero di progetti fatti, di imprese incentivate, di aderenti, di infrastrutture completate)”. Una lacuna che andrà colmata mettendo a punto un documento con i dettagli sui singoli progetti e suddiviso per obiettivi, target e milestone, come richiesto dalla Commissione europea».

Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà, Eleonora Vanni, presidente di Lega copp sociali e Paolo Venturi direttore di Aiccon, firmano un commento sulle pagine de Il Corriere della sera in cui sottolineano «L’esigenza di un radicale investimento nelle risorse e nell’intraprendenza delle comunità, rilanciando così una nuova stagione di investimenti in un welfare a matrice comunitaria. Tutto quello che stiamo sperimentando in questi giorni drammatici si sta rivelando, in maniera inattesa, come una vera e propria palestra d’innovazione che sta potenziando le motivazioni e le aspirazioni di quel Terzo Pilastro, che ha sorretto in questa emergenza tanto lo Stato quanto il Mercato. L’emergenza per la cooperazione sociale non è stata solo il tempo che ha certificato la sua resilienza, ma anche quello in cui si è potenziata la consapevolezza di un cambiamento e di un nuovo protagonismo. Un protagonismo che nasce innanzitutto da un atto di responsabilità rispetto a ciò che è successo. Un punto, a nostro avviso, di non ritorno».

E concludono «Il futuro della cooperazione sociale si costruisce con un radicale sguardo al futuro, sapendo però che la costruzione del Futuro è un atto del presente. Serve quindi una decisione, oggi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza diventa così il terreno fertile su cui agire e dentro cui valorizzare il protagonismo del mutualismo e l’intraprendenza delle comunità. La costruzione del futuro, infatti, inizia dalla piena valorizzazione del Terzo Pilastro nella costruzione di uno sviluppo che non separi più l’economico dall’umano».

Infine, Giampaolo Silvestri, segretario generale Avsi sulla prima pagina di Avvenire lancia una proposta: «La capacità di spesa è un problema per il nostro Paese: nell’ultimo quinquennio l’Italia ha utilizzato solo il 38,4% dei fondi strutturali, finendo penultima in classifica. Occorrono procedure straordinarie, ha denunciato Gentiloni, commissario europeo agli Affari Economici, per evitare il rischio di perdere erogazioni. Ma leggi e procedure non bastano, chiedono il coinvolgimento di soggetti attivi che sappiano venire in soccorso a questa debolezza dello Stato».

E conclude così il suo ragionamento: «E la notizia buona è che sono già in campo, basta solo coinvolgerli in un protagonismo nuovo: sono i molti soggetti del Terzo Settore che non si sono mai fermati nei mesi della pandemia, mentre lo Stato, le amministrazioni, le sue strutture centrali e periferiche hanno annaspato, dimostrando di non essere in grado di spendere i fondi assegnati per freni non solo burocratici. Questa la nostra proposta: inseriamo queste realtà nel piano di Next Generation EU come soggetti diretti di implementazione, assegniamo loro fondi diretti. Questo è del resto sostenuto dalla sentenza (n. 131 del 26 giugno 2020) della Corte costituzionale e dalla modifica del Codice dei contratti, che stabiliscono che l’Amministrazione pubblica non è più il solo titolare del bene comune, che si realizza anche mediante una cooperazione con gli Enti di Terzo Settore. Andando verso la logica della co-progettualità, superando quella dell’appalto, ogni euro speso ritornerà centuplicato in termini di dinamismo economico e sociale. Nell’ambito della componente parità di genere, coesione sociale e territoriale, per la quale sono previsti 17,2 miliardi nel Next Generation EU, potrebbero essere gli enti del Terzo Settore i soggetti erogatori dei fondi e non le amministrazioni».

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