Non profit

Così il sogno di Nemo è diventato realtà. In tempi da record

L’idea nel dicembre 2004. E un impegno congiunto di enti, associazioni, istituzioni, privati. A tessere la tela la giovane Fondazione Serena, che oggi vara il suo primo progetto.

di Sara De Carli

Le pareti sono blu cobalto e giallo sole. La linea di separazione è un?onda che corre lungo il corridoio. Ti aspetti di vederlo saltar fuori da un momento all?altro Nemo, il pesciolino dalla pinna atrofica del cartone animato. E invece no. Perché Nemo è un acrostico che fa il verso al pesce ma in realtà sta per NEuroMuscolar Omnicentre, centro multidisciplinare per le patologie neuromuscolari. Distrofie muscolari, sclerosi laterale amiotrofica, atrofie muscolari (come quella del pesce, appunto). Si tratta del primo centro clinico ad alta specializzazione sorto in Italia per queste malattie, ed è stato inaugurato il 30 novembre a Milano, presso l?ospedale Niguarda. Aprirà i battenti ai malati dal 1° gennaio 2008. Venti posti letto più quattro in day hospital, tutti accreditati presso il sistema sanitario nazionale, un?utenza prevista di 500 pazienti l?anno (o ?degenti malati?, come li chiamano qua), un primario nuovo di zecca, Massimo Corbo (il primo esperto d?Italia in malattie neuromuscolari a diventare primario nella sua specialità) coadiuvato dalla dottoressa Nadia Cellotto, aiuto corresponsabile, e dalla dottoressa Gabriella Rossi, psicologo. Un budget annuale di 1,8 milioni di euro. Il Centro clinico Nemo è nato dall?azione filantropica di una giovanissima fondazione meneghina, la Fondazione Serena. I suoi partner sono Fondazione Telethon, Uildm – Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, Aisla – Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica e Azienda ospedaliera Niguarda.

Tempistica da record
Come è stato possibile trasformare un sogno in realtà in così poco tempo? «Perché ci abbiamo creduto e lavorato molto», dice Alberto Fontana, presidente di Uildm e della Fondazione Serena. «E perché c?è un bisogno reale». Ad oggi infatti i 20mila malati di distrofia muscolare e i 5mila malati di Sla presenti sul territorio italiano sono presi in carico in modo un po? parcellizzato: «In ogni territorio c?è un ospedale specializzato in cardiologia e uno in problemi respiratori, un altro sulla postura e un quarto sull?alimentazione. Quello che mancava era una presa in carico globale della persona affetta da malattia neuromuscolare». È nata così l?idea di un centro di eccellenza unico e dedicato, ad altissima specializzazione, che possa essere il punto di riferimento per pazienti, famiglie e medici. Che affronti i temi clinici e quelli riabilitativi, quelli diagnostici e quelli psicologici. Il 30% dei letti sarà destinato a pazienti adolescenti, visto che queste malattie spesso vengono diagnosticate in età giovanissima: «Ci sarà un?ala apposita, con un?attenzione dedicata. I ragazzi avranno i propri spazi ma allo stesso tempo potranno vedere persone a stadi più avanzati della malattia: qualcuno magari si spaventerà al vedere che finirà in carrozzina, ma vedrà pure che la gente si sposa, lavora, ha una vita anche con la distrofia». Il centro non mira a svuotare di pazienti gli ospedali normali: «Saremo noi i primi a segnalare ai malati il centro più vicino a loro, sul territorio», prosegue Fontana. «Però oggi è necessario patrimonializzare le esperienze, creare una banca dati statistica, condividere le conoscenze, mappare la rete dei centri che si occupano di queste malattie. Non è più tempo di primedonne». Mario Melazzini, presidente di Aisla e direttore scientifico del centro, è entrato nel progetto in corsa, nel 2005. «Ho notato che c?era molta ricerca clinica sulla distrofia muscolare e poca sulla Sla. Eppure per entrambe le patologie c?è poco a livello di farmaci e moltissimo a livello di supporto tecnico. È stato così che ho incontrato Fontana. Ed è stato naturale unire le forze: una cosa rarissima tra le associazioni. Qui sarà tutto diverso perché il datore di lavoro è lo stesso malato: certo che perseguiremo il margine come elemento di efficacia, ma nessuno mai guarderà all?erogazione di servizi con le logiche della produzione». A livello di aiuto concreto, la fondazione ha già un?altra idea: ha presentato un progetto alla Regione Lombardia per farsi carico di individuare le circa 360 persone che hanno diritto ai comunicatori vocali (quelli per cui la Turco ha stanziato 10 milioni di euro, di cui 1,7 per la Lombardia). Si tratta di stabilire i criteri di priorità, individuare lo strumento più adatto per ciascuna persona, seguirle nel tempo, farsi garante della corretta ed equa distribuzione dei macchinari tra i malati.

Telethon, il valore aggiunto
Ma in tutto questo, qual è il ruolo di Telethon? Vuol dire che il Centro Nemo sarà il primo luogo dove verrà sperimentata una eventuale terapia che i ricercatori scopriranno nei laboratori? Melazzini nega, anche se certo, «questo centro è un valore aggiunto per i ricercatori di base, che spesso non hanno mai visto un malato in vita loro». «Uno degli obiettivi è accorciare la distanza fra i laboratori e i pazienti», dice Fontana, «ma partiremo soprattutto dalla stesura di protocolli clinici e linee guida: ci sono tante scuole di pensiero, è importante dare una linea comune che possa aiutare le famiglie nelle varie scelte, come ad esempio se procedere o meno alla tracheotomia». Il logo del centro clinico è un cerchio con dentro un uomo stilizzato. Quel che viene in mente è l?uomo vitruviano di Leonardo, modello di perfezione. Alla faccia di quella gamba più corta, che a toccare la circonferenza non ci arriva.

Centro Clinico Nemo


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