Infanzia

Così i carruggi sono diventati un grande oratorio inclusivo

Nel "Centro storico ragazzi" di Genova i più giovani mettono radici, grazie a un progetto ideato e realizzato dalle realtà cristiane sul territorio. Le chiese diventano casa anche per chi non segue la fede cattolica, perché sono luogo di incontro, crescita e scambio

di Veronica Rossi

I Carruggi non sono solo il centro geografico di Genova. Sono un luogo di passaggio obbligato per spostarsi da una parte all’altra della città, ma anche un tesoro di arte, storia e bellezza. Fanno parte delle radici profonde dei genovesi, tuttavia sono da sempre un crocevia di popoli, in cui ci si conosce, ci si incontra, si cambia. È proprio questo il teatro in cui è nato e si è sviluppato il progetto “Centro storico ragazzi”, promosso dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche che operano in campo educativo, attivo già dal 2008. «Avevamo il desiderio di rispondere a quella che il Papa Benedetto XVI aveva definito “emergenza educativa”, parlando della Diocesi di Roma», dice don Andrea Decaroli, parroco della parrocchia di San Siro. «Ci chiedevamo cosa potessimo fare come comunità cristiana sul territorio, chiedendoci se potevamo lavorare assieme».

Il progetto è nato come doposcuola e oratorio itinerante. Nei Carruggi, infatti, non ci sono spazi ampi: bisognava inventarsi qualcosa. E così ogni realtà ha messo a disposizione quello che aveva, per il tempo di cui disponeva. Così, l’attività fin da subito si sposta ogni giorno della settimana in un luogo diverso. «Si è reso visibile fin da subito che non si trattava di un progetto di una associazione o di una parrocchia sola», continua il Don, «ma di un’iniziativa realizzata collaborando assieme».

L’attività è stata proposta a tutti i bambini e i ragazzi che abitavano o frequentavano il territorio. A rispondere, in maggioranza bimbi di famiglie di origine straniera, nati in Italia o arrivati molto piccoli. «La caratteristica che accomuna questi ragazzi è che hanno genitori che hanno attraversato la fatica delle migrazioni», spiega padre Decaroli, «quindi appartengono a due culture e hanno due lingue madri. In molti casi appartengono a religioni diverse: è un’attività della Chiesa, ma non ci siamo rivolti solo a bambini cristiani. Ci sono tanti musulmani e negli anni ci sono stati anche dei buddisti. Tutta questa diversità è una ricchezza».

Il progetto vuole aiutare i bambini e i ragazzi a mettere radici. E loro hanno visto la possibilità di avere una casa comune, con altri ragazzi. «C’è un episodio che rappresenta bene la nostra idea di accoglienza», racconta il prete. «Qualche anno fa in una scuola media l’insegnante ha fatto vedere le immagini di una statua, che una ragazzina ha riconosciuto essere in uno dei nostri luoghi. Così ha detto “Ma questa è la mia chiesa!”. Un’altra ragazzina le ha risposto “Ma tu sei musulmana!”. Ed era vero, ma aveva ragione a dire che era la sua chiesa, perché era un luogo in cui aveva messo emotivamente le sue radici, la poteva sentire sua senza che le venisse chiesto di cambiare religione».

L’accompagnamento dei ragazzi è un lavoro quotidiano, un sostegno anche per superare le difficoltà che a scuola si possono avere quando si proviene da contesti linguistici e culturali differenti. A volte sono gli stessi insegnanti a rivolgersi alle realtà del “Centro storico ragazzi” per essere aiutati nei contatti con le famiglie. Per cercare di rispondere ai bisogni dei ragazzi – anche di chi, banalmente, non ha una rete di supporto che possa aiutare madri e padri lavoratori – istituendo un servizio mensa, che ora si appoggia a un istituto di suore che collabora con il progetto. Gli educatori mangiano coi bambini, in modo da sfruttare l’occasione del pasto anche come momento di condivisione e di vicinanza.

Un tassello importante della vita dei più giovani è sicuramente lo sport. «Quello che facciamo è più sport educativo e sociale che agonistico», afferma il Don, «abbiamo partecipato a tornei di calcio col Csi, abbiamo cercato di fare una squadra di pallavolo, abbiamo anche il karate, con un insegnante in pensione che per qualche anno ci ha aiutati. Non abbiamo risultati entusiasmanti, non abbiamo spazi grandissimi, un po’ si improvvisano i campi e le formazioni, ma c’è tanto entusiasmo e voglia di impegnarsi».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.