Volontariato
Così ho vinto Castro
Per unaccusa inventata, padre Loredo ha trascorso dieci anni nei lager cubani. «Ma adesso sullisola qualcosa sta già cambiando. E dopo la visita del Papa nulla sarà come prima»
«Che cos?è per me la giustizia? È la persona di Gesù Cristo. Intesa come bontà, come pienezza morale, come santità, come qualcosa che realizza in pieno la libertà. Sì, perché giustizia e libertà sono per me due cose molto legate fra loro. Non è possibile alcuna libertà senza giustizia».
Che cosa sono giustizia e libertà, padre Miguel Angel Loredo lo sa bene. Forse perché ha avuto molto tempo per pensarci, durante i nove anni e dieci mesi trascorsi nell?inferno delle galere cubane. E oggi questo frate francescano di 60 anni, costretto all?esilio in un convento di New York, è forse la persona meglio indicata per giudicare il significato della visita che Giovanni Paolo II compirà dal 21 al 25 gennaio nell?isola caraibica. Un viaggio storico, perché Cuba era il solo Paese latinoamericano in cui il Papa non era ancora riuscito ad andare. Ma storico anche per le speranze di cambiamento e di democrazia che il suo arrivo sta suscitando: fra i cattolici naturalmente, ma anche fra tutti coloro che per 39 anni hanno dovuto subire il pesante giogo imposto da Fidel Castro. Loredo ad accogliere il Papa non potrà esserci: il regime gli ha rifiutato il visto come ?persona non grata?. Ma è perfettamente informato di quanto accade sull?isola.
«Prima ancora del suo arrivo sull’isola», ci dice il francescano, «la visita del Papa ha già generato infiniti cambiamenti. In pochi mesi tutto è mutato, compresa la stessa Chiesa che ha finalmente cominciato a prendere iniziative. Il governo è diviso e non sa come manipolare tutto ciò. La situazione rischia di sfuggirgli di mano. La crisi economica obbliga il governo a dei cambiamenti e Fidel ha capito che il Papa può aiutarlo ad attuarli senza perdere la faccia. Per Fidel è più facile fare concessioni al Papa che al governo degli Usa. Tutto ciò si adatta meglio all’orgoglio cubano. Questi cambiamenti però non possono essere radicali e non porteranno certo al multipartitismo».
Ma non c’è il rischio che il Papa venga strumentalizzato da Castro? Il regime si aspetta dal pontefice una forte condanna dell’embargo Usa che sta strozzando un Paese dove manca tutto e dove gli stipendi vanno dagli 8 ai 16 dollari al mese…
«Certamente il Papa ribadirà la sua condanna all?embargo, al bloqueo. Ma in qualche modo saprà anche sottolineare il vero bloqueo, che è quello che attua il governo di Castro contro il popolo di Cuba non rispettando i diritti umani. Il Papa non potrà forse dire tutto quello che vuole, ma il linguaggio dell?immagine al giorno d?oggi conta per il 75 per cento della comunicazione e basterà a far capire come lui la pensa. Cosa ci può essere infatti di più clamoroso di trecentomila fedeli che seguono la messa in piazza della rivoluzione, all?Avana, davanti al grande ritratto di Che Guevara? Lo hanno detto anche i vescovi: dopo la visita del Papa, sull?isola nulla sarà più come prima».
Loredo, ci può riassumere la sua battaglia e il suo dramma? Con quale accusa fu arrestato? «Eravamo nel 1966, io ero un giovane frate di 28 anni senza troppi peli sulla lingua e molto impegnato fra i giovani. Forse davo fastidio, forse il regime aveva bisogno di un pretesto per accusare la Chiesa di lavorare contro la rivoluzione. Fatto sta che fui accusato di aver nascosto nel mio convento un ingegnere di volo, Angel Maria Betancourt, ricercato perché aveva ucciso due piloti nel tentativo di dirottare un aereo cubano verso la Florida. In realtà le accuse erano totalmente false e costruite ad arte da un agente della Seguridad che veniva a confessarsi da me e si fingeva buon cattolico. Betancourt in realtà era già stato catturato: lo introdussero nel convento, e poi finsero di trovarlo. Fu fucilato senza processo, mentre invece io fui sbattuto sui giornali e poi sottoposto a un processo farsa. Mi condannarono a 15 anni e venni mandato ai lavori forzati nei famigerati campi di lavoro sull?isola dei Pini, assieme a migliaia di detenuti politici e di delinquenti comuni».
La detenzione diventa per Loredo un?autentica esperienza di Passione: nessuna umiliazione gli è risparmiata, mentre vede morire decine di compagni di prigionia. «Ci facevano spaccare pietre per 12 ore al giorno sotto il sole. Mi portavano a lavorare nudo, scalzo, una volta persino con la febbre a 40. Spesso i militari di guardia ci picchiavano con le baionette e i machete. Per quattro volte feci lunghi scioperi della fame di protesta in seguito ai quali giunsi anche a perdere i sensi, ma serviva a poco. Persi tanto peso che potevo serrare un mio braccio tra il pollice e il mignolo. Quasi tutte le settimane le guardie uccidevano qualcuno, soprattutto al sabato: era come una lotteria indovinare a chi sarebbe toccato. Allora, per protestare, potevamo solo fare un minuto di silenzio e andare al lavoro senza cappello. Io intanto continuavo a celebrare la messa di nascosto, usando vino distillato in segreto. Come calice avevo il piattino di metallo che era appeso alla cintura di un detenuto nel momento in cui fu assassinato perché aveva rifiutato di piegarsi a mangiare dell?erba».
La drammatica esperienza di padre Loredo non ha nulla da invidiare a quelle vissute dai sopravvissuti dei lager nazisti o dei gulag sovietici. Costretto a dormire nudo sulla nuda terra, «con un bicchiere d?acqua al giorno e tanto cibo che si poteva tenere nel palmo delle mani», privato di ogni assistenza medica, sopravvive per miracolo, forse solo perché sostenuto da una grande forza interiore, da una speranza. E dalla certezza di essere un segno per tutti gli altri compagni di prigionia. Finché un giorno, d?improvviso, con cinque anni d?anticipo rispetto alla ?fine pena?, le porte del carcere si aprono per padre Miguel. In un momento di relazioni più distese fra Stato e Chiesa, il cardinal Casaroli riesce a ottenere la liberazione di quel martire francescano forse troppo a lungo dimenticato anche dalle gerarchie ecclesiastiche. Loredo così può tornare fra i suoi giovani, ma le minacce contro di lui sono quotidiane. Finché il governo offre alla Chiesa il visto d?ingresso per due sacerdoti stranieri, a condizione però che quel frate se ne vada. Loredo non vorrebbe, ma poi finisce con l?accettare, solo per alleviare le tensioni e non essere d?ostacolo al lavoro di tutti gli altri religiosi. È il 1984, e da allora il francescano non ha più rimesso piede sulla sua isola. Ma non ha perso le speranze. Rafforzate anche da quella Messa che il Papa ha voluto celebrare con lui, nel novembre scorso, in Vaticano.
«Prima o poi tornerò», confida. «Non bisogna avere fretta. L?importante è che il regime ha capito che bisogna concedere qualcosa di più alla Chiesa. Certo, è presto per parlare di riconciliazione: questa non può essere l?accettazione di uno status quo, se la libertà continua a mancare. La riconciliazione deve avvenire con un cambiamento reale e con una maggior apertura democratica. È come una partita a scacchi con Fidel. Ma, ripeto, i frutti sono già grandiosi».
La fede rinasce nell?isola rossa
«Juan Pablo segundo, te espera todo el mundo». Giovanni Paolo II, ti aspettiamo tutti. Così ripetono in coro i cattolici cubani in questi giorni per loro di grande felicità. Per la prima volta il Natale è tornato giorno festivo, e il regime ha concesso anche di celebrare una serie di messe in piazza, per abituare i fedeli a quell?evento totalmente inedito che saranno le funzioni del Papa. Può darsi che molti sperino che con il Papa arrivi anche la papa, cioè la patata. Ma è sicuro che la fame di spiritualità e di libertà nell?isola è ben maggiore di quella, pur vasta, dettata dalle pance vuote e dalla misera razione giornaliera (un uovo, un pomodoro, un cucchiaio di zucchero) concessa dalla libreta.
Stanca e prostrata dalle difficoltà economiche, disorientata dal crollo delle utopie socialiste, priva ormai di ogni fede nella rivoluzione, la popolazione cubana si rivolge sempre più alla religione alla ricerca di nuove certezze o di speranze che la aiutino a vivere. Secondo l?agenzia vaticana Fides, i cattolici praticanti sarebbero saliti in pochi anni dal 2 al 12 per cento. Solo all’Avana dai 7 mila battesimi del ’71, si è saliti ai 35 mila del ’96. Eppure sull?isola sono aperte solo 120 chiese, mentre preti e frati sono meno di 300 e le religiose meno di 500. Il Papa chiederà il visto di ingresso per più sacerdoti. E poi porrà il problema dell?accesso dei cattolici ai mass media, la libertà di educazione, la costruzione di nuove chiese. Dalla risposta di Fidel, si capirà quale spazio di libertà potrà avere in futuro la Chiesa. E forse non solo la Chiesa.
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