Lettera al direttore

«La mia libertà in un ago: vi racconto come si vive col diabete»

Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta del presidente della Federazione Rete Sarda Diabete. Una riflessione sulla condizione psicologica nella gestione della malattia

di Riccardo Trentin

Caro direttore, conoscendo la sensibilità del suo giornale per queste tematiche, desidero condividere con lei e i suoi lettori una riflessione. Il mio diabete sta per compiere quarant’anni. Il tempo della maturità e della consapevolezza, lontano ormai dallo sconcerto dell’esordio, dalla rabbia di una adolescenza interrotta dall’implacabile sentenza della diagnosi, cui ha fatto seguito il lungo adattamento alla nuova vita, complicata, a tratti dura, sicuramente mai rassegnata.

Faccio una premessa. La Sardegna è l’area geografica al mondo con il maggior tasso di incidenza di diabete di tipo 1. Abbiamo superato anche la Finlandia, che per tanto tempo è stata ai vertici mondiali. Io sono nato a Iglesias, e il Sulcis Iglesiente è uno dei territori maggiormente colpiti nell’Isola insieme a Medio Campidano e Oristanese.

Il diabete è la malattia pediatrica più rappresentata in Sardegna. I dispositivi per la cura sono cambiati nel tempo. La diagnosi, per me, è arrivata a cavallo tra il 16esimo e il 17esimo anno d’età, alla fine degli anni Ottanta. Allora ero un atleta, avevo fatto buone prestazioni nei 110 metri a ostacoli e, nei raduni, i medici sportivi effettuavano i controlli degli zuccheri presenti nelle urine. Se ne accorsero così. Inoltre, da mesi presentavo i classici sintomi di questa patologia: perdita di peso, una fame vorace e un’arsura impressionante. In quel periodo non esisteva un mondo associazionistico attento a questo problema, oggi per fortuna non è più così. La Federazione che rappresento associa tante realtà che danno conforto, sostegno e supporto ai pazienti, soprattutto nel delicatissimo momento della diagnosi. Le famiglie erano seguite da medici diabetologi ma mancava il sostegno degli psicologi. La diagnosi era quasi una condanna, ci sentivamo tagliati fuori dalla vita sociale.

Convivere con il diabete significa entrare in uno spazio esistenziale la cui mappatura è contraddistinta da relazioni strettissime tra le manifestazioni fisiologiche della malattia e l’apparato strumentale della sua cura: insulina, pungidito, sensori, infusori, penne, siringhe ed aghi. Come in tutte le patologie croniche, anche nel diabete la gestione ottimale della malattia passa attraverso la libertà del paziente di scegliere la modalità terapeutica più confacente alle proprie esigenze.

Riccardo Trentin durante un intervento a un convegno sul diabete

Ho ribattezzato la mia scelta terapeutica con l’espressione “La mia libertà auto-iniettiva”, a voler evidenziare la relazione speciale che intercorre tra lo strumento di cura e la mia capacità di controllo della malattia. L’ago non mi ruba la vita ma piuttosto conserva intatta la mia autodeterminazione nel gesto di iniettare l’insulina, come un prolungamento simbolico di una volontà non eterodiretta e indipendente da dispositivi esterni.

Nell’esperienza del paziente diabetico, questa piccola cannula metallica evoca sentimenti contrastanti: un accesso doloroso al proprio corpo, quotidiana intrusione di lance che misurano la glicemia e di iniezioni di insulina, spesso occultate all’occhio estraneo per il pudore di non rivelare la propria vulnerabilità. Ma, allo stesso tempo, quell’ago è come la condotta di un’energia vitale, porta di accesso di un flusso capace di ripristinare l’equilibrio negli alti e bassi di una marea incostante.

La mia libertà-auto-iniettiva è cresciuta di pari passo con la mia consapevolezza: coscienza di un corpo coabitato dal diabete, volontà di attribuire un nuovo senso all’esperienza della malattia tale da trasformare l’accezione semantica insita nella stessa esperienza della cura: l’ago che da nemico diventa alleato, da ostacolo si trasforma in complice. Auto-iniettarmi l’insulina è come decidere di riappropriarmi della mia corporeità tradita, di esercitare un potere di controllo sulla tirannia del diabete.

L’ago come metafora del Soffio divino incarnato nella autodeterminazione del malato: un gesto di cura, un attaccamento a sé stessi che restituisce la vita.

Credit: foto gentilmente concesse da Riccardo Trentin

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