Welfare

Così cambierò il carcere

San Vittore Sergio Cusani parla per la prima volta da dietro le sbarre dei suoi progetti “rivoluzionari”

di Cristina Giudici

Quando era finanziere aveva un ufficio in centro con una porta blindata e due segretarie. Oggi ha ancora un “ufficio” nel centro di Milano, ma non ha telefono, e per arrivarci bisogna superare ben cinque porte blindate e centinaia di agenti. Stiamo per arrivare da Sergio Cusani, detenuto di fama a San Vittore, in carcere dal novembre scorso per le tangenti Eni-Sai. Lo incontriamo al piano terra nel cuore della sezione penale in un piccolissimo locale strapieno di carte, con un computer portatile e un fax; qui ha sede l’archivio del Gruppo di lavoro per una ?carta europea delle comunità carcerarie? fondato da Cusani. Lo incontriamo qui, in questa cella “sui generis” che non rinchiude uomini ma migliaia di fogli, una cella chiusa ben tre volte dal direttore del carcere milanese per chiarire che questa parodia di biblioteca non poteva diventare l’ufficio di nessuno e tantomeno di Cusani. Da qui l?ex finanziere di Raul Gardini, un passato remoto nel movimento studentesco, ha tessuto le fila della sua nuova esistenza, allacciando in una rete di dialogo un mosaico complesso che unisce detenuti di 120 carceri. Al suo primo giorno di permesso, a fine agosto, aveva detto: «Dal carcere non uscirò mai più, ormai è la mia seconda pelle». E così sembra, a vederlo nel suo ?ufficio galeotto? straripante di carteggi con i detenuti; così sembra incontrandolo qui dove ha partorito l?idea di una carta dei diritti per detenuti e l?Agenzia di solidarietà per il lavoro . Sereno, anzi consapevole come dice lui. Cusani, 49 anni, sei di condanna, è diventato un punto di riferimento per i ?fratelli carcerati?, come li chiama lui forse anche perché appartiene a quella merce (in carcere così pregiata) fatta da uomini che ai processi si difendono, ma non fanno nomi altrui. Con ?Vita? ha acconsentito di parlare del suo progetto di Agenzia di solidarietà per il lavoro, una sorta di management che coordinerà sindacati, enti pubblici, imprese e cooperative per dare lavoro ai detenuti fuori e dentro al carcere. «Vede, non ci sarà vera riforma dello Stato sociale se non verrà abrogato il Welfare carcerario. Oggi il sistema penitenziario è una sorta di colonna portante del Welfare State: immigrati, tossici, disoccupati, malati e disagiati le trova qui, in gran quantità. Lo stato oggi preferisce passare 350 mila lire al giorno per ogni detenuto, una spesa per parcheggiare i problemi sociali, piuttosto che spendere 150 mila lire per rispondere ai bisogni sociali che qui vede rappresentati. L’Agenzia del lavoro è una proposta per uscire da questo Welfare carcerario: mira a mettere insieme imprese, enti pubblici, sindacati e volontariato per dar vita ad un circuito virtuoso capace di far incontrare domanda d’aiuto e offerta d’aiuto». Dove è nata l?idea dell?agenzia di solidarietà per il lavoro? «Dall?esigenza di fare del carcere un momento di crescita e di riflessione e non il trampolino per la criminalità. Non è un segreto che il carcere generi solo rancore sociale e riproduca crimine. Per superare il carcere ci vuole lavoro, perciò abbiamo pensato a coinvolgere delle aziende che aprano delle filiali all?interno degli istituti di pena. E saranno gli stessi detenuti, uno straniero e uno italiano, a dirigere l’Agenzia, procacciando e coordinando le commesse per i carcerati e le disponibilità dei detenuti». Sofri ha proposto un?amnistia per 15 mila detenuti comuni seguita dalla depenalizzazione di alcuni reati. Lei cosa propone? «Le due cose debbono andare insieme, altrimenti sarebbe come scavare una buca nella sabbia. Durerebbe il volgere di una giornata. Con l?amnistia saranno forse 15 mila ad uscire, ma un mese dopo saranno altre 20 mila a rientrare». Sembra che, grazie ai detenuti eccellenti come lei, il carcere sia finalmente al centro di un interesse generale. «Sono le regole della comunicazione, ma il cambiamento non deriva principalmente dai detenuti famosi. Stanno cambiando molte cose. Alla manifestazione del 20 settembre contro l’idea secessionista ha per la prima volta partecipato una delegazione di 80 detenuti. Una cosa inaudita. La legge vieta che un pregiudicato possa stare con un altro pregiudicato, eppure per la prima volta il tribunale di sorveglianza milanese ha concesso il permesso a questi detenuti, me compreso, motivando la partecipazione alla manifestazione come ?attività risocializzante?. Ma si rende conto di quanto sia rivoluzionario questo precedente?». Cosa sta cambiando? «Molte cose. Innanzitutto le carceri hanno iniziato a parlare, anche in quelle peggiori come Badu e Carros, Secondigliano, i detenuti scrivono, parlano. A Taranto addirittura escono per fare del volontariato e puliscono le spiagge. Al nord la Lega ha fatto solo una sola cosa buona: ha fatto piazza pulita di tutte le vecchie forme-partito, il territorio è libero, ora si tratta di sperimentare nuove forme di rappresentanza. L’impegno sociale, dentro e fuori il carcere, può aiutare a individuare nuove forme». Un frutto della sua esperienza con il volontariato? «Anche. In carcere ho conosciuto un esercito fatto di uomini e donne che dedicano e hanno dedicato la loro esistenza agli altri, un esercito che cresce ogni giorno di più e che dobbiamo riconoscere. Per questo sto lavorando intorno all’idea di una proposta di legge da proporre ai parlamentari per favorire attività di volontariato tra i detenuti. Così: offrire un giorno di sconto di pena a ogni detenuto che faccia un giorno di lavoro volontario». Lei ha chiesto, in caso di affidamento ai servizi sociali, di poter dormire fuori e lavorare in carcere, di giorno. Di solito è il contrario. «La mia richiesta è ora alla Cassazione dopo essere stata respinta nei precedenti gradi. L?affido si concede partendo dal concetto che il carcere è inquinato e che lavorare fuori di giorno permette al detenuto un graduale reinserimento. Io credo invece che in carcere ci siano molte cose positive, anche qui si può lavorare, trasmettere cultura e crescere». Luigi Pagano, il direttore di San Vittore, ci ha detto: «Cusani ha capito finalmente che in carcere i progressi si misurano con i centimetri e non con i chilometri». Allora anche lei è cresciuto? «In questo impegno per trasformare il carcere siamo cresciuti tutti, detenuti, volontari, agenti e direttore. Ho fatto un anno e mezzo di carcere, sono più vecchio e più consapevole». ? L’agenzia Un ufficio di collocamento per i carcerati Il sogno del detenuto, e incallito manager, Sergio Cusani si chiamerà ?Agenzia di solidarietà per il lavoro? e funzionerà come un ufficio di collocamento per carcerati ed ex carcerati. Il suo compito sarà quello di attrarre risorse pubbliche e investimenti privati per collocare persone fuori dal carcere e invitare aziende dentro il carcere. Un grande progetto che coordinerà lo sforzo di 50 associazioni di volontariato, sindacati, enti pubblici e amministrazione penitenziaria. Il suo obbiettivo sarà di generare posti di lavoro, affrancare i detenuti dalla piccola criminalità e superare l?emergenza carcere attraverso opportunità concrete di reinserimento. Un ponte fra domanda e offerta per svincolare i detenuti dall?assistenzialismo. La sua sede sarà in uno dei locali del Comune del Milano, il suo presidente sarà un dirigente esterno affiancato da due detenuti, uno straniero e uno italiano. L?istituzione dell?agenzia, ancora in cantiere, ha già trovato il placet del sindaco di Milano, e la disponibilità dei sindacati.


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