Mondo
Così agli Esteri affossano le ong. La non cooperazione
Il prossimo 21 gennaio è prevista una riunione. E' lultima possibilità per spendere i soldi già stanziati. Altrimenti...
di Paola Mattei
L? ultimo treno per la cooperazione italiana passerà il 21 gennaio prossimo? Sembra proprio di sì. Il Comitato direzionale della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo degli Esteri, previsto per quella data, sembra un appuntamento di routine, ma non lo è affatto.
Siamo all?ultima spiaggia per la cooperazione internazionale del nostro Paese, quella politica che dovrebbe concretamente rappresentare la nostra voglia di solidarietà con i Paesi meno fortunati del nostro, ai quali si potrebbe anche offrire qualcosa di meglio della guerra. Il nostro Paese non ha più una lira, almeno per la cooperazione, si dirà al Comitato direzionale. E tra gli operatori è panico. Ma è proprio così? Vediamo come stanno davvero le cose. Prima Tremonti (decreto), poi la Finanziaria, che ha puntato le scarse risorse sulla difesa (+1,5%); sullo sfondo la Ragioneria dello Stato, che ormai piace (al governo, naturalmente) solo se non spende.
E infine la macchina della Direzione generale, inchiodata da qualche anno al palo di una legge (la 49 del 1987) che nessuno (destra e sinistra) vuole rinnovare, nonostante faccia acqua da tutte le parti.
Una miscela esplosiva che non si è dileguata neanche con la difficile nomina del nuovo ministro degli Esteri, Franco Frattini (nella foto). Una miscela che, ovviamente, riduce le risorse per i progetti di sviluppo e cooperazione internazionale.
Ma ciò che è peggio è che neppure quei pochi soldi che sono comunque stati stanziati riusciranno probabilmente ad essere spesi: per farlo, è indispensabile un miracolo. Qualsiasi attività, infatti, deve prima passare al setaccio dei meccanismi interni della Dgcs, che culminano con una delibera del Direzionale. Già in questa fase la corsa è ad ostacoli plurimi con coazione a ripetersi. Innumerevoli uffici concorrono all?Oscar per la non cooperazione, ripetendo procedure identiche e costringendo gli operatori (tutti gli operatori, non uno escluso: imprese profit e ong, università e decentrati, bilateralisti e multilateralisti, persino i settori interni a gestione diretta?) a fare e rifare le stesse cose, in un mare di carte, obiezioni cavillose e botte di genialità tecniche da parte degli appassionati di dossier cartacei.
Il massimo di (in)efficienza lo rappresenta l?Unità tecnica centrale, che dovrebbe dare un parere ?tecnico?, come dice il suo nome funzionale, ma che invece torna persino sugli obiettivi generali delle attività, dopo che altri uffici ne hanno già fatto a lungo argomento di filosofia teoretica. E se anche l?Unità mette alfine la difficilissima firma del suo responsabile, c?è ancora il decreto dell?innavvicinabile Ragioneria generale. Qui siamo nel tempio dell?amministrazione pubblica, naturalmente.
Amministrazione di che? Della non spesa, naturalmente. Con il governo che tira, si fa bella figura non spendendo. Punto e basta.
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