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Così abbiamo messo le mani su Kiev
Patriottismo e nazionalismo sono il collante di un Paese sotto assedio. Dove i leader della destra sono considerati salvatori della patria. Ancora per quanto? La risposta un servizio pubblicato sul numero di Vita di aprile
Chi c’era in piazza nei giorni della rivolta che ha portato al rovesciamento del governo di Kiev? È una variegata, a tratti anche inquietante, catena di organizzazioni, attorno alle quali si è coagulato un consenso che ha travalicato le dimensioni delle organizzazioni stesse. Ma chi sono, che passato hanno, e che peso avranno nel prossimo futuro dell’Ucraina che guarda all’Europa?
È d’obbligo iniziare da Praviy Sektor (“Settore Destro”), in prima linea durante gli scontri di piazza, senza dubbio il movimento guida delle milizie armate, al comando delle centinaia di piccole cellule che hanno composto il cosiddetto “esercito di autodifesa”, gruppi di uomini che hanno preso in mano la sicurezza di Kiev dopo il dissolvimento dei corpi di polizia. A dispetto delle sue radici neofasciste, il movimento è riuscito a guadagnarsi la stima dei manifestanti, per la resistenza alle forze della polizia nazionale durante la repressione popolare.
Bottiglie molotov, bombe di fabbricazione artigianale, armi: il gruppo nazionalista capitanato da Dmytro Yarosh ha risposto in maniera organizzata agli attacchi delle forze dell’ordine, svolgendo un ruolo determinante nella resistenza di piazza.
«Tutti questi uomini in tenuta militare, queste persone che vivono per strada, controllando i checkpoint, svolgendo il servizio d’ordine volontario di fronte agli accessi della banca nazionale, dei palazzi occupati dalla rivoluzione, sono cittadini ucraini che difendono il loro paese», si difende Yarosh. «Noi siamo qui per l’Ucraina, vogliamo costruire un Paese libero da interferenze esterne, forte, indipendente. Dobbiamo poterci difendere dalle aggressioni, organizzare un sistema militare di difesa che renda questo Paese in grado di parlare al resto del mondo alla pari, e non in maniera subalterna, com’è successo sino ad oggi. Noi siamo qui per questo: vogliamo dare una mano a ristabilire l’ordine nel Paese e pensiamo che tutti i cittadini ucraini dovrebbero scendere in piazza, vestire una tuta mimetica e venire a combattere insieme a noi».
Solo chi lotta è ucraino
Sull’onda dell’entusiasmo popolare seguito ai moti di protesta, Yarosh ha dichiarato la sua intenzione di voler correre per le elezioni presidenziali del prossimo 25 maggio. Nonostante le sue probabilità di vittoria siano praticamente nulle (i sondaggi lo danno intorno al 2%) la sua mossa testimonia come la protesta ha involontariamente trascinato tanti verso una deriva nazionalista. Praviy Sektor costituisce al momento una risorsa fondamentale per il governo temporaneo ucraino, in assenza di un corpo di polizia e con un esercito completamente allo sbando. «Non siamo razzisti, antisemiti o xenofobi», continua Yarosh, «crediamo, molto più semplicemente, in due categorie di persone: quelle che lottano per la liberazione dell’Ucraina e quelle che non lo fanno. Per noi chiunque si batta per il nostro Paese è un amico, considereremo invece tutti gli altri come dei nemici». Yarosh si è conquistato sul campo i galloni di comandante ed oggi è vicepresidente del Consiglio Nazionale di Sicurezza Ucraino, l’istituzione che gestisce la difesa in tutto il Paese. Anche per questo, dopo aver avuto una grande illuminazione mediatica, il movimento sta cercando oggi di ammorbidire alcune delle posizioni più scandalose assunte nel corso degli anni, soprattutto per quanto riguarda i fondamenti ideologici del partito, le cui pagine social continuano a contenere riferimenti espliciti al nazismo e i cui militanti, secondo la testimonianza di alcuni giornalisti del quotidiano israeliano Haaretz, durante le proteste avrebbero distribuito in piazza Maidan copie del Mein Kampf di Adolf Hitler.
I nemici ora sono amici…
Il grande senso di instabilità che si respira nel Paese e la paura per la temuta invasione russa hanno certamente aiutato la crescita di questi movimenti, andata ad attecchire su un tessuto sociale in cui patriottismo e nazionalismo sono tornati ad essere valori condivisi da una maggioranza. Ad avvantaggiarsi di questo clima è stato anche il partito Svoboda, fino a poco tempo fa considerato dalla diplomazia internazionale come uno dei movimenti più pericolosi dell’arco politico ucraino, ma riportatosi oggi strategicamente su posizioni più moderate. Grazie a questa svolta è riuscito a guadagnarsi l’appoggio della diplomazia statunitense e a ottenere ben quattro ministeri nel governo temporaneo di unità nazionale. Svoboda è accreditato di percentuali intorno al 12% per le prossime elezioni presidenziali ed il suo leader, Oleh Tyahnybok, è considerato dalla piazza come uno dei leader più carismatici. Nato nel 1991 con il nome di partito nazionalsocialista ucraino (un chiaro riferimento al partito nazista tedesco) e trasformatosi qualche anno più tardi nel ben più mite “Svododa” (Libertà), il gruppo presieduto da Tyahnybok con il profondo restyling politico, ha ottenuto un accreditamento incondizionato anche dalle cancellerie europee: bisogna infatti sapere che poco più di un anno fa il Parlamento Europeo aveva espresso profonda preoccupazione per le posizioni xenofobe, antisemite e razziste di quello stesso partito. «Io non credo che Svoboda sia un’organizzazione razzista», ci racconta oggi Daryna, giovane attivista, studentessa di geografia all’università Taras di Kiev. «Mi sembra invece che abbia a cuore il futuro del nostro Paese. Oggi non siamo più di fronte ad un problema politico, a noi ucraini non interessa se un partito sia di destra o di sinistra, se sia fascista o comunista. Quello che ci importa è di difenderci dall’aggressione russa, di mettere in piedi un sistema democratico nuovo, senza corruzione, dove i diritti delle persone valgano qualcosa. Se questo può farlo un partito di destra, ben venga». Fortunatamente non è questa l’unica faccia della rivoluzione. Il movimento di protesta ha fatto nascere formazioni nuove, in maniera spontanea.
Ma ci sono anche le voci sociali
Così oggi sono numerosissime le formazioni non violente di resistenza che offrono una dimensione diversa alla rivoluzione di Kiev. Ci sono per esempio gli studenti che hanno occupato un’ala della Casa Ucraina di Kiev, costruendo una piccola biblioteca pubblica: «Abbiamo pensato che era importante dare un segnale che andasse oltre la resistenzaviolenta», ci racconta Victor, 25 anni, uno dei leader della protesta studentesca a Kiev. «Vogliamo ripartire dalla cultura, dalla partecipazione, costruire un movimento solido, dare anche la sensazione che sul campo non ci sono soltanto i paramilitari di destra, ma anche realtà come la nostra. La scelta di Casa Ucraina come nostro quartier generale non è casuale, questo luogo si trova in una piazza intitolata all’Unione Europea, piazza Europa».
Un altro dei movimenti nati durante le giornate degli scontri, in dicembre, è quello delle ragazze di Civil Sector, un gruppo di studentesse conosciutesi in un bar del centro nel quale si erano rifugiate durante le cariche della polizia. «È stato un momento drammatico, ma allo stesso tempo bellissimo. C’erano la rabbia, la tensione, soprattutto la paura, per tutto quello che stava succedendo fuori, ed è stato quasi automatico pensare che bisognava fare qualcosa, impegnarsi nella protesta attivamente, ma in maniera non violenta», racconta Ivanna, 25 anni, una laurea in storia ed un futuro, spera, da insegnante.
«Abbiamo provato a portare in mezzo alle barricate un po’ di normalità, organizzando piccoli concerti, contest di ballo, forum cinematografici, tavole rotonde, per far vivere il centro di Kiev. Anche se il risultato alla fine era un po’ surreale, siamo convinte che sia importante far vivere questi spazi non soltanto di tute militari e armi, ma anche con la solidarietà civile delle persone». Ancora, c’è il movimento di Euromaidan Sos, che dopo essersi impegnato sin dalle primissime giornate nel soccorso dei feriti, oggi si occupa di una rete sociale che mette in contatto i medici volontari con gli ospedali realizzati intorno all’area degli scontri.
Inoltre, Euromaidan Sos è attiva nella ricerca di tutti i manifestanti scomparsi durante le dimostrazioni ed i cui corpi non sono ancora stati ritrovati: «Secondo le nostre rilevazioni», spiega Alissa Novitchkva, coordinatrice per la cooperazione e le relazioni internazionali di Euromaidan Sos, «mancano all’appello circa 270 persone. Nonostante la situazione si sia stabilizzata dal punto di vista degli scontri, il contesto umanitario è catastrofico: questa è la vera emergenza dell’Ucraina oggi».
Nell'immagine di copertina un murales a Kiev, con la Crimea in rosso e la scritta in cirillico “Insieme per sempre”
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