Famiglia
Così abbiamo accolto oltre 26mila bambini in 40 anni
Il Centro di aiuto alla vita - Cav Mangiagalli ha da poco celebrato il suo anniversario. Era, infatti il 12 novembre del 1984 quando apriva i battenti all’interno di un ospedale grazie all’intuizione della sua fondatrice Paola Bonzi. Il suo stile accogliente è quello che ancora oggi viene portato avanti da volontarie e operatrici. Ce lo siamo fatti raccontare nel numero di VITA di novembre
A dirigere il Cav Mangiagalli a Milano, il primo Centro di aiuto alla vita che 40 anni fa trovò sede in un ospedale, oggi c’è Soemia Sibillo che ha assunto questo ruolo nel 2019, dopo la scomparsa prematura di Paola Bonzi che è stata l’anima e il fulcro del Cav milanese.
I dati
Un anniversario a cifra tonda porta a fare bilanci e a guardare i numeri: gli oltre 26mila bambini nati in questi 40 anni, le circa 2mila donne che ogni anno in media vengono accolte nelle stanze del Cav, anche se, ricorda Sibillo nel corso del 2023 i numeri sono diminuiti: sono state seguite poco meno di 1.500 donne.
La testimonianza
Ma accanto ai dati ci sono le testimonianze di chi all’interno del Cav Mangiagalli opera tutti i giorni come Antonella Cazzadora. Parlare con lei, da oltre due decenni operatrice al Centro di aiuto alla Vita, aiuta a mettere da parte tutta una serie di preconcetti e pregiudizi che circondano queste strutture promosse dal Movimento per la Vita.
«Non cerchiamo di convincere nessuno, non colpevolizziamo le donne che si rivolgono a noi. Quello che facciamo è offrire uno spazio di riflessione», dice Cazzadora. A condurre una persona a bussare alla porta del Cav sono tante motivazioni: quelle economiche sono le preponderanti, ma non manca la paura. «Ci sono tante donne senza permesso di soggiorno o che hanno solo un posto letto e con la gravidanza vengono messe fuori. Con la crisi economica è calata la solidarietà: solo pochi anni fa, soprattutto tra le sudamericane, si aiutavano molto, ora non è più così».
Una finestra aperta nel cuore
Se parliamo di giovani e giovanissime, racconta Cazzadora, «molte all’inizio reagiscono con un’ideologizzazione positiva, sono innamorate e pensano: “un bimbo è una cosa bella”. Poi iniziano i problemi con i genitori e realizzano l’entità dell’impatto di un figlio sul loro progetto di vita: l’università, la carriera…».
Tutte le donne in gravidanza, precisa Cazzadora, «vivono esperienze ambivalenti. Le più giovani sono più condizionate dai canoni estetici e fanno un grosso investimento sul proprio aspetto, ma la paura del corpo che cambia accompagna tutte, dai 14 ai 45 anni». Rispetto alla scelta dell’interruzione volontaria di gravidanza, «chi arriva da noi è sempre una donna che ha tenuto aperta una finestra nel cuore», dice l’operatrice.
Il sostegno psicologico è fondamentale anche perché, spiega l’operatrice, «ci sono donne che si sentono in colpa anche solo per aver pensato di abortire e la sofferenza è maggiore in quelle che hanno già avuto dei figli. Per questo facciamo diversi colloqui anche dopo la nascita del bambino. Comunque, nella mia esperienza non ho mai incontrato una mamma che si sia pentita di aver tenuto il figlio».
Uno stile accogliente
Ad affascinarla, all’inizio del suo impegno al Cav Mangiagalli, è stata la figura di Paola Bonzi, la fondatrice che ha diretto la struttura dall’apertura nel 1984 al 2015, «e soprattutto il fatto che qui si punta a comprendere e ad accogliere le donne. Cerchiamo di metterle a proprio agio e allo stesso tempo di offrire un aiuto concreto. Quando ci sono difficoltà di tipo economico insieme alla donna – più raramente anche con il partner, che per le giovanissime non c’è mai – elaboriamo un progetto che cerchi di dare risposte ai bisogni espressi, dall’aiuto per pagare le bollette all’accoglienza nella comunità alloggio che abbiamo aperto pochi mesi fa a Milano, ma sosteniamo anche percorsi formativi per favorire la possibilità di un’occupazione».
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In apertura photo by Hollie Santos on Unsplash
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