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Cos’è SanPa oggi

Con la serie Netflix che racconta le vicende del fondatore Vincenzo Muccioli, la comunità riminese è tornata agli onori delle cronache. Ma sopratutto per quello che è stata negli anni '70 e '80, con al centro il problema dell'eroina e un percorso appena all'inizio. Sono passati 25 anni da allora e il mondo delle sostanze è cambiato radicalmente. Com'è oggi Sanpatrignano? Lo abbiamo chiesto al loro responsabile accoglienza, Virgilio Albertini

di Lorenzo Maria Alvaro

Vincenzo Muccioli muore nel 1995. Ed è quella la data in cui la serie Netflix "SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano" si ferma nel racconto delle vicende della comunità riminese. Il motivo è, naturalmente, che la regista Cosima Spender, ha voluto porre al centro della telecamera la figura del fondatore, carismatico e dividente, più che la comunità. Così Sanpa è una biografia calata in un contesto di quello che fu. Eroina, capelli lunghi e pantaloni a zampa, fango e vanghe. Dalla fine della narrazione cinematografica a oggi però sono passati 25 anni, l'eroina e le siringhe hanno lasciato il passo alle polidipendenze e alle nuove droghe, l'Hiv ha prima ceduto il ruolo di malattia d'emergenza all'epatite che poi a sua volta è stata scalzata dalle patologie psichiatriche. Ma la comunità è sempre lì, in cima a quella collina poco fuori Rimini. Com'è cambiata? Come si è trasformata in questi 25 anni? Com'è Sanpa oggi? Ne abbiamo parlato con Virgilio Albertini, attuale responsabile dell'accoglienza.


Alla fine della serie Netflix si sente parlare di 2500 ospiti. Oggi quante persone vivono in comunità a Sanpatrignano?
Oggi abbiamo mille persone ospitate

Sono molto diverse dai ragazzi che venivano lì negli anni 80?
Bé ai tempi c'erano praticamente solo eroinomani, che assumevano la droga prevalentemente endovena. Oggi invece l'identikit parla di ragazzi di 30anni, poliassuntori, quindi di persone che usano molte sostanze combinate e la droga maggiormente usata è la cocaina, assunta sniffata, fumata e anche endovena

Che differenza c'è tra un eroinomane e il poliassuntore di oggi?
In primo luogo si è abbassata, e di molto, l'età media del primo contatto con le sostanze. Sempre più spesso abbiamo a che fare con ragazzi che hanno cominciato addirittura nell'infanzia. Proprio l'altro giorno ho fatto un colloquio a un ragazzo che ha cominciato a 11 anni.

Questo cominciare più presto usando droghe molto lontane dall'eroina che differenze comporta?
Dal punto di vista della cura nessuna. Il nostro approccio è lo stesso di sempre. Noi consideriamo la dipendenza da sostanze non come problematica principale ma come sintomo del disagio psicologico che la persona vive. Non ci interessa tanto il tipo di sostanza, ma quello che c'è dietro la dipendenza. Naturalmente è cambiata molto la percezione del problema da parte del tossicodipendente.

In che senso?
L'eroinomane arrivava molto velocemente al punto di non ritorno e si rendeva conto velocemente di avere un problema. Paradossalmente dall'inizio dell'uso della sostanza all'arrivo qui passava relativamente poco. I tossicodipendenti di oggi invece iniziano molto presto, covivono con la droga per tantissimo tempo e non riescono a capire di avere un problema. Questo forse complice anche il fatto che la cocaina è stata per lungo tempo considerata una droga d'elite che non procura una dipendenza violenta come quella dell'eroina e genera l'illusione di poterla gestire. Quando il cocainomane arriva a questa consapevolezza è perché è andato molto oltre e le sue condizioni, quando arriva qui, sono molto peggiori di quelle dei ragazzi di 25 anni fa.

Quali sono le criticità delle nuove dipendenze?
I percorsi di recupero sono molto più lunghi e ci vuole tantissimo tempo in più perché i ragazzi trovino una propria stabilità perché spesso ci sono situazioni psichiche più compromesse.

Avete aggiunto qualcosa ai percorsi di recupero, tenendo l'età molto più giovane degli ospiti?
Certo, l'approccio è diverso perchè oggi il percorso è anche educativo. Sono ragazzi che spesso non è che si sono persi e si devono ricostruire, ma piuttosto devono costruirsi per la prima volta. In questo senso, sono sotto gli occhi di tutti la crisi delle agenzie educative e i vuoti educativi che questa crisi genera. Sappiamo che dobbiamo sopperire al venire meno delle funzioni educative della famiglia, della scuola e della società. In questo senso oggi abbiamo dei percorsi scolastici interni che comprendono, oltre alle secondarie superiori, anche le primarie di secondo grado.

Muccioli volle costruire un ospedale interno per contrastare e gestire il problema dell'Hiv. Oggi che tipo di problemi affronta la vostra struttura sanitaria?
Naturalmente per fortuna l'emergenza di Hiv e Aids non è più quella di quegli anni. Per alcuni anni l'emergenza dell'epatite C risolta con le nuove cure. Così oggi il nostro ospedale si rivolge all'esterno come presidio territoriale. La dipendenza oggi infatti non ha patologie specifiche. A parte quelle che si chiamano doppie diagnosi e cioè le patologie psichiatriche che però noi non accogliamo e dirottiamo su centri specializzati.

Una delle immagini più impressionanti della serie erano le code fuori dalla comunità. Veri e propri accampamenti di migliaia di giovani che chiedevano di essere accolte accampandosi davanti ai cancelli. Esistono ancora quelle code?
No, le code non ci sono più. Abbiamo strutturato un percorso di accoglienza che si basa sulla collaborazione con 40 associazioni di volontariato sparse su tutto il territorio nazionale. Quando ci arrivano le richieste noi indirizziamo le persone a questi centri d'ascolto. Da lì comincia un iter di valutazione delle domande che finiscono con un colloquio. Alla fine dell'iter decidiamo se garantire o meno l'accesso.

A proposito di famiglia, nella serie giocano un ruolo sostanziale. Madri e padri che trascinavano ai cancelli della comunità i figli perduti. Che ruolo giocano le famiglie oggi?
Sono ancora la frontiera della battaglia quotidiana contro la dipendenza di questi ragazzi, ed è dalle famiglie che arriva la maggior parte delle richieste. Oggi, rispetto ad allora, ci sono dei percorsi di accompagnamento della famiglie che vengono coinvolte nei percorsi di recupero dei ragazzi. Questo però quando ci sono. Sempre più spesso la famiglia non c'è o è disastrata. Questo è un elemento che non va sottovalutato.

Una cosa che Sanpa fa emergere con chiarezza è come, in quegli anni, il tossicodipendente fosse un emarginato del cui destino non interessava nessuno. Oggi come stanno le cose?
C'è certamente un'attenzione diversa rispetto ad allora. In particolare c'è un'infrastruttura della cura che prima non c'era. Quello che invece non è cambiato è che di droga non si parla e sopratutto, tenendo presente che è un problema che coinvolge principalmente le nuove generazioni, non c'è prevenzione. Non ha senso curare qualcuno se si potrebbe evitare che si ammali. L'eroina era molto meno subdola delle droghe di oggi…

In che senso?
Non c'è lo stigma. L'eroina creava degli zombie. Dei morti viventi. Oggi i tossicodipendenti si mimetizzano. Non ci sono più le piazze e il disagio evidente. Sembra che il problema non eista. I ragazzi che vengono qui oggi sono ragazzi giovani insospettabili. Facce pulite che non lasciano immaginare una dipendenza. Un inganno che travolge anche le famiglie che spesso si accorgono quando ormai la situazione è naufragata.

Il vostro sostentamento continua ad essere basato su donazioni e produzione di beni?
Si questo non è cambiato. Oggi come allora oltre alle donazioni guadagniamo vendendo vino, formaggi, salumi, prodotti di pelletterie e oggettistica che realizzano i ragazzi qui.

Con il Covid le cose come sono andate?
Le conseguenza le sentiremo nei prossimi mesi. Abbiamo certamente avuto una diminuzione importante delle vendite ma sopratutto abbiamo dovuto interrompere gli ingressi per tanti mesi.

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