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#CosaCiToglieilSonno, 10 leader della società civile raccontano

Nel World Sleep Day, la giornata internazionale che si celebra domani, abbiamo chiesto ad alcuni responsabili del Non profit italiano di dirci quali preoccupazioni turbino, in senso figurato o meno, le loro notti. Ognuno ci ha messo a parte di cosa ci sia di più urgente, in questo momento, nella loro responsabilità

di Giampaolo Cerri

Si chiama World Sleep Day, la Giornata mondiale del sonno, ed è celebrata internazionalmente, domani 17 marzo, per ricordare come il riposo notturno sia essenziale per la salute.

È così vero che ormai “perdere il sonno” è però anche un’espressione che indica le preoccupazioni che popolano le nostre notti: gli obiettivi che ci siamo dati, le scadenze, spesso la responsabilità che deriva dai nostri lavori. Così ci è venuta la curiosità di sapere cosa tolga il sonno, nel senso di che cosa preoccupi di più, alcuni protagonisti del Non profit italiano, ché sono donne e uomini anche loro, aldilà della rappresentazione “bionica” che, talvolta, se ne fa sui media.

«Quello che non mi fa dormire», ci dice Paola Crestani, presidente di Amref Italia, «è l'ingiusta sofferenza di tante persone e specialmente bambini. In questo periodo come Amref Italia stiamo seguendo da vicino la grave crisi alimentare che sta colpendo il Burkina Faso e il Sud Sudan e l'area più arida compresa tra Etiopia e Kenya. Le persone rischiano di morire di fame a causa della siccità, causata a sua volta dal cambiamento climatico, e a causa dell'aumento dei prezzi del grano come conseguenza dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Ecco», aggiunge, «io trovo ingiusto, e questo non mi fa dormire, che persone soffrano per colpe di altri, perché sicuramente non sono gli africani quelli che più hanno impatto sul cambiamento climatico, che invece dipende molto dal nostro stile di vita, di noi del nord del mondo. Così come non è certo imputabile a loro il fatto che la Russia abbia deciso di invadere l'Ucraina».

Don Antonio Mazzi, presidente di Fondazione Exodus, è un educatore instancabile e, sollecitato dalla domanda, è andato dritto al punto: «La cosa che mi toglie più il sonno in questo periodo è l’impossibilità di trovare educatori all'altezza dei nuovi bisogni che riguardano sia il nostro modo di educare, che è molto impegnativo e molto particolare, sia la capacità di interpretare i bisogni e le nuove dipendenze dei ragazzi che compaiono oggi e che richiedono il nostro intervento».

«Quello che non mi fa dormire la notte», rilancia Regina Catrambone, fondatrice di Moas, «è la situazione dimenticata delle persone Rohingya, il drammatico conflitto in Ucraina, i terremoti in Siria e in Turchia, lo stato in cui versano le persone in Yemen, i continui naufragi nel Mediterraneo, le condizioni in cui vivono le persone migranti in Libia, la situazione in cui vessano le donne in Afghanistan e in Iran, le persone migranti al confine americano… E mi chiedo come facciano a dormire i decisori politici che avrebbero il potere di mitigare la sofferenza e la perdita di vite umane e che invece continuano ad emanare leggi che puniscono le persone che fuggono dalla violenza, dalla guerra e dalla povertà in cerca di un futuro migliore». Le fa eco Francesca Tambussi, direttrice raccolta fondi di WeWorld: «Non dormo di notte pensando ai bambini siriani che, dal terremoto, devono usare la scuola come rifugio, alle donne afgane che non possono neppure uscire di casa da sole, agli ucraini che non hanno più una casa, alla nonna tanzaniana sola, che mantiene e fa studiare i nipoti perché “è la cosa più importante”. Non dormo, pensando a quanto ancora c’è da fare.»

Stefano Granata è il presidente di Federsolidarietà, che raggruppa le realtà sociali di Confcooperative. Racconta che, da qualche tempo, gli si riaffaccia alla mente il pensiero dei giovani «nella comunicazione con i quali qualcosa si è rotto». «Non riusciamo a decodificare la loro richiesta di aiuto», osserva, «né ad offrire un contesto sociale nel quale trovino la collocazione desiderata. Il Terzo settore deve assumersi l’onere di lavorare perché i giovani entrino nell’agenda istituzionale. Non solo, deve dedicarsi concretamente – investendo creatività, risorse umane ed economiche – alla costruzione di luoghi pubblici dove le nuove generazioni possano realmente aggregarsi, esprimersi e giocare un protagonismo a loro misura. Luoghi di senso», conclude, «che i giovani possano abitare come loro desiderano e non come noi vorremmo».

C’è tutta la responsabilità di chi guida una grande realtà sociale come la Fondazione Banco alimentare, in quello che ci confida Giovanni Bruno, che la presiede. «Il pensiero che mi toglie il sonno», attacca «è, tenendo sempre viva la memoria delle origini e la chiarezza dello scopo, perseguire la crescita delle competenze professionali delle persone che operano al Banco Alimentare, dipendenti e volontari, così da riuscire a sostenere sempre più le oltre 7.600 strutture caritative convenzionate per consentir loro di aiutare al meglio le circa 1.750.000 persone in difficoltà attraverso il recupero delle eccedenze alimentari da tutta la filiera, riducendo gli sprechi. In questo particolare momento storico, per far fronte all’aumento delle richieste di aiuto, dobbiamo intensificare gli sforzi in una logica di vera sussidiarietà».

E che cosa agita le notti di Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, l’unione delle realtà sociosanitarie non profit? «Mi toglie il sonno un Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr che ha scelto di infrastrutturare solo la sanità pubblica con il finanziamento delle case e degli ospedali di comunità e non quella non profit», racconta. «Un Piano che ha nuovamente scelto un percorso di finanziamento della assistenza domiciliare solo a favore di erogatori pubblici per ben 3 miliardi di euro nei prossimi anni. E il ddl sugli anziani che pare anch’esso mantenere una visione pubblica nei percorsi di presa in carico assistenziale. Una riforma del Terzo settore che rischia, per il mondo delle onlus di portare effetti fiscali deteriori rispetto alla situazione vigente. Certo, c’è tempo per riuscire a mettere a sistema tutto questo. La paura però è che il tempo passi, si perda una grande occasione di mutamento di ruolo degli operatori sociosanitari non profit e non si crei quel ruolo costitutivo del Terzo settore per la tutela della salute spesso dichiarato ma poco attuato».

Francesca Magliulo, direttrice di Fondazione Eos-Edison Orizzonte Sociale, è molto netta: «Ci preoccupa l’urgenza del futuro. Temiamo che dinnanzi alle continue emergenze e alle nuove problematicità a cui dover far fronte ogni giorno, non si riesca a garantire la sostenibilità nel tempo delle progettualità intraprese e un sostegno continuo a chi vive in situazioni di difficoltà». Dal Centro italiano aiuti all'infanzia – Ciai, risponde Francesca Silva, la direttrice: «Cosa mi toglie il sonno? Pensare che oggi in Italia sempre più bambini e bambine, ragazzi e ragazze vivono un grave disagio psico-emotivo. Vorremmo poter avviare per loro ancora più percorsi di ascolto e sostegno di quanto già facciamo».

E sui bambini è centrata, inevitabilmente, anche la risposta di Ernesto Caffo, fondatore di Telefono azzurro. «Quello che mi fai perdere il sonno in questo momento», racconta a VITA, «è il grande problema dei bambini adolescenti della loro salute mentale. Perché la fragilità, che si è determinata anche con la pandemia, ha provocato una grande crisi di identità e anche di prospettiva di futuro in molti adolescenti. I loro segnali di sofferenza, che si esprimono talvolta nei comportamenti suicidari, o violenti tra coetanei, non trova la risposta da parte delle istituzioni e da parte dei servizi, né da parte del mondo degli adulti – delle famiglie e della scuola – nel potere ascoltare questa loro sofferenza e dare risposte. Questo», prosegue Caffo, «richiede che un grande impegno di tutti noi, anche del nostro mondo del Terzo settore, si concentri su questa fascia di popolazione. In questo momento, occorre una coesione sociale forte, per dare a questa generazione risposte che permettano poi di costruire insieme una prospettiva di impegno comune sui grandi valori e sulle grandi tematiche. Occorre farlo partendo dalle loro difficoltà di poter chiedere un aiuto, necessariamente prima che le cose diventino strutturate e impegnative sul piano psicopatologico».

La foto di apertura è di Konstantine Trundayev su Unsplash

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