Attivismo
Cosa sognano i giovani? Rendersi utili per il prossimo
Un interessante report di Caritas Italiana, "Tra sogno e realtà", diventa uno strumento di lettura del mondo giovanile e delle passioni che muovono tanti ragazzi a scegliere la via del volontariato. Ambiente e politica agli ultimi posti nelle passioni del campione dei 14mila giovani dell'organizzazione
di Redazione
Giovani distratti e disincantati, sempre più lontani dal mondo del volontariato? C’è un’Italia che continua a credere nei valori del volontariato e vi si dedica anima e corpo. Emerge chiaramente dal report di Caritas Italiana presentato oggi. L’indagine “Giovani in Caritas: tra sogno e realtà” è stata promossa dall’organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana – Cei nell’ottobre 2024, in occasione dell’iniziativa “Tieni tempo?”.
Il rapporto parte dal lavoro svolto quotidianamente da poco meno di 14mila giovani che, a vario titolo (volontari, Servizio civile universale e altri progetti) sono impegnati nelle Caritas diocesane da Nord a Sud. Ne esce fuori uno spaccato che interessa tutto il mondo del Terzo settore e non soltanto questa importante organizzazione. I risultati sono stati presentati da Walter Nanni (servizio Studi e ricerche di Caritas Italiana), cui ha fatto seguito l’intervento di Diego Mesa (Caritas Brescia), che ha esteso la riflessione al rapporto tra il mondo giovanile e il volontariato, tra nodi da sciogliere e opportunità da vivere e condividere. Tema questo particolarmente significativo nell’ambito del pensiero sul volontariato in quanto i giovani, pur con modalità diverse dal passato, si avvicinano a questo mondo con le loro risorse, dubbi, energie, potenzialità, perplessità e idee innovative.
Il rapporto contiene le risposte di 632 di loro, di età compresa tra i 16 e i 35 anni, distribuiti equamente nelle diverse regioni italiane: in gran parte ragazze (68,4%), di cittadinanza italiana (97,2%), con un’età media pari a 24,4 anni. E qui viene da fare la prima considerazione: la forte presenza femminile riguarda sia chi chiede aiuto, sia chi aiuta. Non a caso, nella stessa indagine, Caritas Italiana fa una riflessione: «Non sarebbe tuttavia negativo sostenere un maggior grado di coinvolgimento degli uomini in tali percorsi formativi, anche attraverso azioni di sensibilizzazione attente alle differenze di genere».
Un’interessante esperienza di ricerca-ascolto che ha permesso di conoscere meglio le realtà che vivono, i loro sogni, le idee, le passioni, gli ostacoli, le potenzialità e i progetti sul futuro e sulla Caritas che vorrebbero, per migliorarne il livello organizzativo e lo stile di presenza. «Il 71,7% degli intervistati indica come motivazione del proprio servizio il desiderio di “aiutare gli altri”. Questo dato, di per sé eloquente, ci dice che il desiderio di solidarietà e di impegno per il bene comune è vivo e profondamente radicato. Un’attenzione che, più volte, abbiamo riscontrato in particolari situazioni di emergenza, quando la chiamata a tendere una mano per aiutare persone in difficoltà, ha raggiunto e motivato l’impegno di moltissimi giovani – anche quelli che consideriamo “lontani” da certi mondi ed esperienze – pronti ad offrire il proprio contributo». Così il direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, nella sua introduzione. «I dati mostrano che i giovani continuano a sognare, nonostante le difficoltà economiche, le disuguaglianze sociali e culturali e quel senso di disillusione che spesso caratterizza il nostro tempo.
Detto della differente presenza di donne e uomini all’interno del mondo Caritas, non mancano altri spunti di riflessione. Per esempio, la scarsa presenza di volontari giovani di cittadinanza non italiana: in Italia ci sono 1,5 milioni di giovani stranieri, ma la loro presenza come volontari nella Caritas è ancora molto ridotta. «Alcuni giovani non si impegnano come volontari in Caritas perché sono di religione diversa da quella cattolica», si legge nel report. «Altri provengono da famiglie in situazione di difficoltà economica e sono impegnati nel lavoro oppure sono disoccupati e non hanno la possibilità e il tempo per fare volontariato».
A quale titolo i giovani svolgono il loro servizio in Caritas e da quanto tempo sono impegnati in tali attività? È una domanda a cui dà risposta l’indagine. «Ci troviamo di fronte a tre diversi situazioni: più di un terzo dei ragazzi è volontario (38,4%); un 30% sta svolgendo il servizio civile, mentre quelli che lavorano in Caritas (dipendenti, collaboratori professionali, ecc.) sono il 26,4%. Poco presenti i ragazzi in tirocinio, stage, ecc. veicolati dal mondo delle scuole o delle università. La presenza di stagisti e tirocinanti andrebbe potenziata, anche allo scopo di favorire una maggiore osmosi tra l’ambiente dell’istruzione formale e quello dell’impegno sociale. Tra l’altro, vivere un tirocinio o un Pcto nel mondo dei servizi Caritas può aiutare a incrementare le proprie competenze e, perché no?, anche offrire percorsi di possibile inserimento professionale. Molti degli operatori professionali attivi nel mondo Caritas sono stati a suo tempo dei giovani volontari o hanno fatto il servizio civile in Caritas, sia in Italia che all’estero».
Se si guarda alla condizione professionale di chi è impegnato da più di cinque anni in modo stabile, su base mensile o settimanale, soltanto il 30,2% dei giovani dichiara di operare in Caritas sulla base di un contratto di lavoro. «Si può aprire su questo aspetto una riflessione, riguardo la capacità della Caritas di trattenere i giovani che da più tempo operano in essa: se da una parte è vero che il cuore della partecipazione alla dimensione caritativa della Chiesa viene svolto su base volontaria, è anche vero che in un Paese che sfiora quote di disoccupazione giovanile allarmanti, sarebbe auspicabile offrire ai più giovani qualche possibilità di lavoro, prestando naturalmente attenzione a tenere ben salda nei ragazzi la motivazione e la qualità dell’impegno. A tale riguardo, andrebbe superato il pregiudizio che vede nell’impegno volontario un valore etico sempre superiore a quello rintracciabile nella dimensione professionale: in realtà, sono tante le persone che lavorano nel settore socioassistenziale e si caratterizzano comunque per un grande livello di partecipazione e motivazione personale».
Poco più della metà dei giovani vive la sua presenza in Caritas presso centri e servizi dichiaratamente sociocaritativi (mense, ostelli, magazzini, centri di erogazione beni primari, empori, ecc.). Poco meno della metà è impegnata nel servizio civile o in progetti di volontariato rivolti ai giovani. «Vi sono poi altri giovani (uno su cinque) che vengono impiegati in attività di ufficio e segreteria presso la sede centrale della Caritas diocesana», sottolinea l’indagine. «Se osserviamo le voci di attività con il più basso livello numerico di segnalazioni, appaiono alcuni settori e ambiti di lavoro da cui ci si sarebbe atteso un maggiore livello di coinvolgimento delle nuove generazioni: è il caso delle attività di formazione/comunicazione (13,4%), dello studio e della ricerca, spesso tradotte nella formula dell’Osservatorio delle Povertà e delle risorse (5,7%), dei temi della mondialità e della pace (4,1%). In sintesi, si percepisce il rischio che i giovani nel mondo Caritas costituiscano una sorta di serbatoio di manovalanza per lo svolgimento di attività operative, finendo invece con l’essere esclusi da quelle attività e funzioni che richiedono autonomia, responsabilità e capacità di discernimento. Se, da un lato, è comprensibile che una persona di giovane età non possa essere utilizzata in contesti dove è necessaria una certa dose di vita vissuta e di competenza professionale (pensiamo ad esempio ad un centro di ascolto rivolto a persone in situazione di grave marginalità socioeconomica), dall’altro lato sarebbe invece importante e utile coinvolgere le nuove generazioni in ambiti dove il loro valore è indiscutibile, come ad esempio la comunicazione, lo studio, l’animazione del territorio, ecc. Le difficoltà dei giovani nell’essere coinvolti in attività e ruoli più organizzativi e decisionali erano emerse anche nello studio sul volontariato in Caritas: il 44,6% dei giovani volontari dichiarava infatti di non essere mai stato coinvolto in ruoli di responsabilità. Si pone su questo aspetto il tema della fiducia: anche se non ancora in possesso delle competenze auspicate o richieste, alle nuove generazioni deve essere data la possibilità di mettersi in gioco, anche a costo di commettere degli errori (che non sono appannaggio solamente dei giovani). Emerge anche il tema del conflitto intergenerazionale (laddove l’83,7% di chi fa volontariato in Caritas ha più di 34 anni di età) e della fiducia da dare ai più giovani. La fiducia è qualcosa che coinvolge tutte le parti in gioco: da un lato può essere offerta ma dall’altro va accettata, facendone buon uso».
Alla domanda “Quanto sei soddisfatto della tua vita?”, l’86,4% dei giovani che hanno partecipato all’indagine rispondono di essere “Abbastanza” o “Molto” soddisfatti. «Se andiamo però a vedere i dettagli delle valutazioni su alcune specifiche aree esistenziali, si osservano risposte non sempre omogenee. Il livello di soddisfazione più alto è quello relativo all’esperienza in Caritas (95,7%), mentre quello più basso si riferisce alle proprie condizioni economiche (61,5%). Un dato interessante è che il livello di soddisfazione della propria esperienza in Caritas aumenta con l’aumentare degli anni di impegno: sono infatti molto soddisfatti della propria esperienza il 97% degli operatori giovani con maggiore esperienza nell’ente (più di 5 anni), mentre tra coloro che sono giunti da meno di un anno il livello di soddisfazione appare di poco inferiore (93%)».
Il dato appare confermato da una domanda di controllo che chiedeva ai ragazzi: “Pensi che in Caritas ci sia qualcuno in grado di ascoltarti e aiutarti?”. A tale quesito hanno risposto positivamente quasi tutti gli intervistati, esattamente il 96%. «In modo forse inaspettato, il secondo ambito di vita che fa registrare i livelli più alti di soddisfazione è quello della famiglia: sono abbastanza o molto soddisfatti della propria famiglia l’88,9% dei giovani impegnati in Caritas», rileva l’indagine. «L’impegno in Caritas e la provenienza da un ambiente familiare percepito come positivo, sono in realtà due aspetti che si alimentano a vicenda: molto spesso i ragazzi impegnati a vario titolo in Caritas provengono da famiglie che in qualche modo hanno, o hanno avuto in passato, un legame positivo con tale organizzazione. È ipotizzabile in tal senso una sorta di trasmissione ereditaria dell’attitudine al volontariato e all’impegno, un meccanismo poco approfondito dagli studi ma che appare meritevole di ulteriori approfondimenti».
Un passaggio importante è quello delle passioni. La prima segnalata dai giovani intervistati è quella di “aiutare gli altri”. Al secondo posto ritorna in gioco la dimensione relazionale: il trascorrere del tempo in famiglia o con gli amici, segnalata come passione dal 62% degli intervistati. Sul terzo gradino del podio appare invece la passione per i viaggi, una dimensione che nel corso degli anni sta conquistando sempre più favore tra i giovani, e che contrasta con il carattere localista e abitudinario che viene frequentemente associato alla condizione giovanile contemporanea». Tra le passioni che spiccano in senso negativo per lo scarso numero di segnalazioni, spiccano i pochi riferimenti all’ambiente e all’ecologia (18,4%) e quella del fare politica, una sfera di azione che si colloca all’ultimo posto nella graduatoria delle passioni giovanili (8,9%). «In qualche modo, se pensiamo che il target di riferimento dell’indagine era costituito da un panel di giovani impegnati in attività socioassistenziali, e quindi in qualche modo coinvolti da eventi e fenomeni sociali, ci si sarebbe potuti attendere un maggior grado di interesse alla sfera sociopolitica. Sarebbe importante trasmettere in qualche modo alle nuove generazioni che il termine “fare politica” non va necessariamente confuso con attività partitiche o in qualche modo finalizzate ad ottenere un proprio spazio di rappresentanza all’interno delle istituzioni pubbliche. All’interno di un territorio, fare politica può voler dire ad esempio farsi carico di uno o più problemi di un quartiere, cercando di mobilitare le forze buone della società civile. Oppure sollecitare le istituzioni ad un maggior grado di coinvolgimento e lottare quindi a favore di un maggior grado di esigibilità dei diritti a favore di coloro che non hanno voce e “santi” in paradiso».
Messi di fronte ad una batteria di possibili ostacoli (personali, sociali, culturali), quello più frequentemente segnalato dai giovani intervistati è relativo alle difficoltà economiche. «La metà esatta dei ragazzi afferma che ad ostacolare i propri sogni potrebbe esserci il fatto di non avere sufficienti risorse economiche o la difficoltà di non riuscire a trovare un lavoro abbastanza redditizio. Un secondo ostacolo, segnalato sempre dalla metà dei ragazzi, è quello di non avere abbastanza capacità o di non essere in possesso di una formazione adeguata rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. La “scarsa fiducia in me stesso” è invece la terza barriera avvertita come urgente e considerata con un certo timore».
Credits: in apertura foto volontariato di Caritas.it
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