Famiglia

Cosa manca a mamma Rai è caccia grossa alla tv sociale

Incontro con il segretariato sociale, struttura di riferimento per il non profit nella televisione pubblica per vedere se sono state mantenute tante promesse

di Carmen Morrone

La comunicazione sociale è ancora la cenerentola del sistema radiotelevisivo? « Forse lo è ancora, ma adesso è arrivata la fatina», risponde Carlo Romeo, direttore del Segretariato sociale della Rai a proposito del tema del convegno che si terrà sabato 3 maggio alle 14.30 a Civitas. E questa fatina ha le sembianze del nuovo Contratto di servizio, con cui la Rai si impegna con il suo pubblico a perseguire determinati obiettivi. All?articolo1, esemplifica ancora Romeo, si parla di cultura delle diversità e all?articolo 7 di comunicazione sociale.
Forse un po? poco, tanto che il Terzo settore va con i piedi di piombo. «Quanto stabilito dal contratto è positivo, tuttavia bisogna tenere presente che il sistema radiotelevisivo deve essere pluralista, capace di interpretare i bisogni dei cittadini con pluralità di voci e di soggetti, secondo il concetto di solidarietà orizzontale entrato a far parte anche della nostra costituzione», puntualizza Ivano Maiorella, responsabile comunicazione del Forum del Terzo settore. E continua: «Per questo bisogna superare il duopolio che sta bloccando il sistema, che soffre della mancanza di nuove energie imprenditoriali libere e autonome. Un altro problema del sistema radiotelevisivo è l?eccessiva dipendenza dalla politica, che paralizza le legittime istanze di riforma che arrivano dai diversi ambiti della associazioni di cittadini che vogliono essere rappresentati».
Fin qui la teoria. Ma la pratica? Nel 2002 e in questi primi mesi del 2003 la Rai come si è comportata? Agli occhi della società civile assomiglia più alla fata o alla matrigna? «La Rai ha perso un?occasione quando non ha trasmesso la manifestazione per la pace. Poi è stata insufficiente nei talk show in prima serata, come Excalibur o Ballarò che ospitano sempre gli stessi personaggi, anziché i testimoni del sociale. Il miglior programma secondo me è stato Racconti di vita, di Giovanni Anversa», è l?opinione di Maiorella. «Il problema non è il quanto ma il come», replica Carlo Romeo. «Fare un programma televisivo o radiofonico che tratta temi del sociale e che però non è curato nei contenuti e nel linguaggio, o che viene trasmesso a tarda ora, non attua i principi del nuovo Contratto di servizio. Noi vogliamo lavorare per la qualità delle produzioni superando un approccio quantitativo». Ma la comunicazione sociale non è di per sé un genere televisivo o radiofonico… «Certo, e deve dimostrare di avere capacità attrattive, di emozionare e di sedurre lo spettatore in diversi contesti. Con l?aiuto di giornalisti attenti e preparati, la comunicazione sociale deve diventare una risorsa per il sistema radiotelevisivo pubblico. A tal fine servono strutture di produzione e sedi in cui i protagonisti del Terzo settore possano esprimere il proprio punto di vista quando si fa programmazione».
Alle parole seguiranno i fatti? Appuntamento a Civitas per saperne di più.
Carmen Morrone

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