Cultura

Cosa ci racconta il mare di Adrian Paci

L'artista albanese ha realizzato una grande installazione nell’atrio del Museo delle Culture a Milano. All’origine c’è il dramma delle migliaia di persone che hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo, ma quelle immagini in cui ci si trova immersi parlano anche della speranza che le ha mosse

di Giuseppe Frangi

28 marzo 1997: una piccola motovedetta partita da Valona carica di migranti viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana.

La motovedetta cola a picco nel canale d’Otranto 57 morti 34 superstiti 24 dispersi. Pochi mesi dopo Adrian Paci, artista nato a Scutari decide di lasciare l’Albania con moglie e le sue piccole bambine. Dal pensiero su questa coincidenza di date è nata la nuova grande opera che Paci ha immaginato per gli spazi immersi di luce del grande atrio del Museo delle culture a Milano, spazio comunale affidato alla gestione di 24Ore cultura. Un’immensa vasca luminosa a forme fluide, quasi liquide che Paci ha trasformato in un mare attraverso la sovrapposizione di pellicole con impresse immagini tratte da foto di cronaca di giornali. La cronaca è quella relativa ai tanti naufragi avvenuti in questi 10 anni nel Mediterraneo. Ma il rapporto con quelle tragedie è lasciato volutamente implicito, sospeso. «Il mio non è un lavoro sul tema dell’immigrazione», precisa infatti l’artista. «Non credo all’arte “su qualcosa”. Penso che l’arte nasca da un incontro, un attraversamento che regala esperienze, fantasie, immagini, storie, suoni, forme anche illusorie. Portare questa esperienza nel territorio della forma tattile dell’opera e far diventare il lavoro stesso fonte di una nuova esperienza sia estetica che di pensiero e riflessione è stata una delle preoccupazioni principali del mio lavoro».

L’atrio del Mudec è uno spazio che emana molta serenità. Qualcosa di opposto all’esperienza di chi attraversa il mare tra mille pericoli e incognite?

Come disturbare il senso di serenità di questo spazio è stata la prima domanda che mi sono posto quando ho ricevuto questo invito. Sicuramente non mi sembrava opportuno appendere cose, desideravo che l’intervento avesse qualcosa di delicato ma anche di profondo che si potesse unire con le caratteristiche dello spazio ma che al tempo stesso operasse un forte spostamento. “Il vostro cielo e fumare il vostro mare fu cielo” cerca di immaginare lo spazio dell’atrio trasformato da chiaroscuri e azzurri verdastri che richiamano i colori del mare. Fin qui nulla di disturbante anzi il colore sembra quasi accentuare l’effetto magico dell’architettura.

E come ha introdotto il fattore disturbante?

La texture di questi azzurri riprende quello dei retini tipografici delle immagini stampate sui giornali e i giornali sono luoghi in cui si comunicano le notizie. Le notizie non sono sempre buone questi azzurri verdastri sono spesso connessi a notizie terribili naufragi che parlano di vite finite nel tentativo di attraversare i mari.  Le immagini pubblicate sui giornali in cui vengono rappresentate diverse scene di naufragio vengono penetrate attraverso un forte zoom che cancella ogni connotazione di informazione e vengono ritagliate per rivestire in forma di pellicola una ad una le finestre della vetrata trasformandola in un grande acquario carico di tragedie che vogliono rimanere implicite soffocate sottolineare i limiti e l’impotenza della macchina dell’informazione nell’affrontare il peso tragico di queste esperienze.

“Il vostro cielo fu mare, il vostro mare fu cielo”: il titolo che ha dato all’opera è di grande suggestione. Le immagini nella parte alta sembrano infatti sfumare in una consistenza di cielo. È quasi parte dell’opera stessa…

Ho cercato che Il lavoro mantenesse questo aspetto magico della luce perché da una parte queste immagini sono tutte legate a storie tragiche, quelle delle 30mila persone che hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo in 10 anni. Ma nello stesso tempo sono storie di speranza. Questi mari sono attraversati da persone spinte una grande volontà e da una grande speranza nell’immaginare il loro futuro. Ecco, per l’occidente, che vive una situazione di mancanza di speranza, credo che incontrare questa energia credo sia una cosa necessaria.

Le foto sono di Jule Hering per il Mudec.

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