Mondo

Cosa ci insegnano (ancora) Abele e Caino

Intervista a Avraham Yehosha. Il maggior scrittore ebraico non parla di Medio Oriente ma ...

di Sara De Carli

Dice che non vuole parlare di Palestina e Israele, di ebrei e di arabi, di guerra, Libano e Gerusalemme. Dice che vuole parlare solo di letteratura e godersi la gioia di essere in Italia, a Torino, per il ciclo Nove Maestri. Dice. Ma essere nato nella terra del bene e del male ha segnato Avraham B. Yehoshua fino al midollo. Figuriamoci nella letteratura. E alla fine anche in una chiacchierata blindata sul tema, dissemina chiavi per leggere la situazione attuale del Medio Oriente. Non una ferramenta qualsiasi, ma una boutique. Vita: Ha detto di voler parlare del rapporto tra etica e letteratura. È un tema che ha già affrontato in Il potere terribile di una piccola colpa, nel 2000. Perché ritornarvi? Avraham B. Yehoshua: Perché la dimensione etica della letteratura è fondamentale, e invece noi la stiamo perdendo. La letteratura negli ultimi trent?anni ha abbandonato il dilemma etico, l?ha relegato nel front-stage del testo. Invece dobbiamo essere consapevoli che la manipolazione della narrazione da parte dello scrittore può disturbare chi legge e impedirgli di cogliere il messaggio del testo, cambiando addirittura il suo giudizio morale. A me non piace parlare e basta, vorrei dimostrare le mie tesi: mi piacerebbe leggere con lei il brano di Caino e Abele. È un brano che tutti hanno sentito, eppure quasi nessuno capisce cosa è veramente successo. Leggendo, noi pensiamo che dopo l?omicidio del fratello Abele, Caino abbia migliorato la sua condizione. Il punto è che nella Bibbia ci sono due diversi codici morali, contrastanti: qui ce n?è uno, e nel resto della Bibbia ce n?è un altro. Bisogna lasciare da parte la filologia, la storia, la filosofia e focalizzarsi sulla domanda etica posta dal testo. Vita: Perché prima diceva che la letteratura ha abbandonato la questione etica? Yehoshua: È ovvio che nella vita delle persone la dimensione etica continua ad esserci, ma mentre la letteratura nel passato metteva l?etica al centro della trama del romanzo, negli ultimi anni la psicologia ha abbassato la domanda morale delle persone e quindi ha spazzato via la domanda morale dagli interessi degli scrittori. Vita: È colpa della psicologia? Yehoshua: La psicologia ha provato a spiegare nei dettagli la vita delle persone, a spiegare con i suoi criteri le ragioni dei crimini e del male. Così facendo ha messo da parte quella fatica complessa e articolata che è il giudizio morale e la battaglia interiore che vi è connessa. O capisci o perdoni, è un aut aut. E oggi tu, secondo la psicologia, puoi capire perché una persona ha commesso un crimine. Questa non è la strada che è stata intrapresa fino al Novecento. Oggi l?eccesso di psicologia ha spodestato il dilemma del giudizio morale. Vita: Uno scrittore deve dare valore etico alle sue opere? Yehoshua: Non deve, ma può. Nei libri si possono creare delle situazioni etiche intese come laboratori dove esaminare i dilemmi etici. Vita: Ci fa un esempio preso dai suoi libri? Yehoshua: Penso a Il responsabile delle risorse umane, che non si accorge dell?assenza della sua dipendente, vittima di un attentato suicida. La domanda etica che ho posto è se una persona può o deve assumersi delle responsabilità nei confronti di chi lo circonda che vada oltre a quanto gli è strettamente richiesto. Questo vale per le persone e per i governi: occorre prendere delle responsabilità dal contesto e mettersele sulle proprie spalle. Ma si tratta sempre di un laboratorio, non credo si possano dare delle risposte. Il buon scrittore pone il dilemma, non dà risposte definitive. Non dice cosa bisogna fare, come bisogna comportarsi: pone il dilemma e avvia la sensibilità morale del lettore, la battaglia interiore attraverso cui ciascuno prova a rispondere, a trovare la sua soluzione. Lo scrittore deve dar forma al dilemma, non alla risposta. Vita: Cosa deve fare lo scrittore quando vede che sua opera non ha influenza sulle cose? Yehoshua: Il fatto che non cambi mai nulla non è una ragione per rassegnarsi e dichiarare fallimento. Perché se la letteratura presenta solo esperienze, senza mai sollecitare la questione morale, lascia il passo alla religione, lascia degli spazi vuoti che prima o poi la religione – che con la questione morale è strettamente legata – riempirà. E io non voglio che la religione faccia ciò che la letteratura può fare, come non voglio che la religione faccia ciò che la legge e il diritto possono fare. Vedi anche: Questo Romanzo della responsabilità


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA