Welfare
Cosa c’è dietro la grande ondata di dimissioni dal lavoro
Negli Stati Uniti la chiamano The Great Resignation. Una conseguenza della pandemia, che ha convinto molti a rivedere le proprie priorità
di Redazione
La pandemia ha cambiato le regole del gioco nel mondo del lavoro. Si vede nei dati sulla disoccupazione, nella transizione di molti settori verso una nuova normalità, nelle esigenze di aggiornamento professionale di molti lavoratori. Ma non solo. Negli ultimi mesi, in poco più di un anno e mezzo, è emerso il desiderio di molti di cambiare vita, di guardare al lavoro in maniera diversa rispetto al passato.
The Great Resignation
Negli Stati Uniti la chiamano “Big Quit” o “Great Resignation”: la grande dimissione. Un’espressione probabilmente coniata da Anthony Klotz, professore di management alla Mays Business School della Texas A&M University. Sempre più persone stanno lasciando il proprio lavoro. Il fenomeno va avanti da mesi. Ma ad agosto è stato raggiunto il record di 4,3 milioni di lavoratori che si sono licenziati. Soprattutto in alberghi, ristoranti e negozi.
In tempi normali, le persone che lasciano il lavoro sono indice di un’economia in salute: di solito vuol dire che c’è buona probabilità di trovare un lavoro migliore, o semplicemente più remunerativo, o più stabile.
La pandemia ha stravolto questo paradigma, portando a una delle ondate di dimissioni più importanti della storia. E non per un eccesso di ottimismo.
Nei primi vent’anni del XXI secolo, il tasso di dimissioni degli Stati Uniti non ha mai superato il 2,4% della forza lavoro totale. Durante la Grande Recessione degli anni Trenta, il tasso di dimissioni scese dal 2% all’1,3%.
L’Atlantic ha raccontato questo fenomeno in un articolo firmato da Derek Thompson. «Stiamo vivendo un cambiamento fondamentale nel rapporto tra dipendenti e capi, un cambiamento che potrebbe avere profonde implicazioni per il futuro del lavoro», scrive. «I lavoratori con salario più basso che hanno beneficiato di maggiori indennità di disoccupazione durante la pandemia, una volta tornati al lavoro, potrebbero essersi resi conto di non essere pagati abbastanza. Ora stanno puntando i piedi, costringendo ristoranti e negozi di abbigliamento a sborsare un salario più alto».
Ovviamente non è solo una questione di paghe.
Ryan Roslansky, chief executive di LinkedIn, anziché parlare di Great Resignation, preferisce definirlo “Great Reshuffle”, il “Grande rimpasto”. Monitorando i profili sulla piattaforma, ha raccontato al Time che a fine settembre la percentuale di chi ha cambiato lavoro a livello globale era in crescita del 54% rispetto allo scorso anno.
La Germania ha avuto il più alto tasso di dimissioni legate al Covid-19 in Europa, con il 6% dei lavoratori che hanno lasciato il lavoro; seguono Regno Unito (4,7%), Paesi Bassi (2,9%) e Francia (2,3%).
E in Italia?
In Italia le rilevazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro indicano un dato preoccupante sulle dimissioni dei genitori lavoratori, soprattutto donne, nei mesi della pandemia.
Ma non si tratta di transizioni occupazionali dovute alle crisi settoriali innescate dal Covid. In un mercato del lavoro poco dinamico come quello italiano, cambiare lavoro è tutt’altro che semplice..
Per continuare a leggere clicca qui
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.