La sentenza della Corte costituzionale/3
Cosa cambia con l’adozione aperta? Il punto di vista dei bambini
La società è più pronta di quel che pensiamo a concepire forme di continuità e relazione tra il prima e il dopo l'adozione, senza pensare all'adozione come una cesura. La rivoluzione dell'adozione aperta è quella di consentire ai minori di continuare a sentirsi amati, anche se in modi perfettibili: una sfida grande per addetti ai lavori e famiglie
Finora l’istituto dell’adozione piena o legittimante si è concentrato soprattutto sul fornire ai minori in stato di adottabilità una tutela giuridica, facendo in modo che – non potendo ricevere sufficienti cure nella propria famiglia di origine – bambini e bambine potessero vivere in un contesto di stabilità legale, abitativa e affettiva. Insomma, fornendo loro una nuova famiglia in cui creare appartenenze, in cui sentirsi al sicuro ed essere figli a tutti gli effetti. Ma cosa ne è della continuità delle loro relazioni? Finora questo aspetto ha contato poco. La recente sentenza della Corte costituzionale mette in luce invece proprio questo tema, affermando che l’adozione legittimante non obbliga a reciderle. Al contrario, i giudici dovranno valutare caso per caso se vi sono relazioni la cui interruzione causerebbe un danno al minore. Siamo pronti per questo cambiamento?
La cultura è più pronta della giurisprudenza
Mi sembra di poter dire che, su questo tema, giurisprudenza e legislatura sembrano seguire tempi diversi da quelli delle rappresentazioni culturali. Ricordate quando è stata approvata la legge n. 173 del 2015, sulla cosiddetta continuità degli affetti? Se vi è capitato, otto anni fa, di discutere del tema con qualcuno di non addetto ai lavori, con una “persona della strada”, probabilmente vi sarete imbattuti in sguardi un po’ perplessi, che si domandavano se davvero questa cosa non fosse già prevista per i minori che dall’affido passavano all’adozione.
Culturalmente, siamo già abbastanza pronti a recepire una continuità di relazioni fra il “prima” e il “dopo”, perché come essere umani viviamo la relazione come una dimensione fondamentale
Marta Casonato, psicologa esperta di adozioni
Certo, questo tipo di giudizi da un certo punto di vista sottovaluta la complessità delle situazioni, della giurisdizione e delle prassi, ma forse dall’altra parte è anche indice di quanto, culturalmente, si fosse già abbastanza pronti a recepire una continuità di relazioni fra il “prima” e il “dopo”. Questo ragionamento vale anche oggi, per il tema del mantenimento delle relazioni con uno o alcuni membri della famiglia di origine. La continuità, anche dal punto di vista dei tribunali, è prassi ormai rodata nei casi di fratrie andate in adozione in famiglie differenti, ma non con chi resta nel nucleo di origine.
Da dove deriva questa sensibilità al mantenere i legami? Le risposte sono sicuramente tante, ma una di queste credo dipenda dal fatto che, come esseri umani, viviamo la relazione come una dimensione fondamentale (non a caso, la qualità delle nostre relazioni determina fortemente il nostro benessere). Se è questo è vero per gli adulti, figuriamoci per i minori, per i quali la sopravvivenza dipende proprio da quelle relazioni.
Si tratta di scardinare non tanto le rappresentazioni culturali estese, quanto quelle professionali di chi è stato abituato ad intendere l’adozione come un istituto che segna una netta virata fra il prima e il dopo
Marta Casonato, psicologa esperta di adozioni
Per recepire appieno la rivoluzione originata da questa sentenza si tratta quindi, a mio avviso, di scardinare non tanto le rappresentazioni culturali estese, quanto quelle professionali di chi è stato abituato da sempre ad intendere l’adozione legittimante come un istituto che segna se non un taglio, quantomeno una netta virata fra il prima e il dopo. Oggi siamo chiamati a trovare un delicato equilibrio fra, da un lato, la stabilità e la piena appartenenza alla nuova famiglia adottiva e, dall’altro, il mantenimento di quei legami che sono significativi e possono continuare ad esserlo per lo sviluppo del minore. Un modo, quindi, per consentire loro di diventare figli senza dimenticare che figli lo erano già.
Cosa cambia con l’adozione aperta, dal punto di vista dell’adottato?
Principalmente due cose, come evidenziato chiaramente dalla ricerca ormai decennale sul tema. In primo luogo si evita lo strappo, dando continuità ai legami significativi; in secondo luogo si favorisce lo sviluppo dell’identità, favorendo l’integrazione (anche grazie al più facile accesso alle informazioni). Il minore sente di non perdere legami importanti, non gli viene richiesto di resettare il suo passato e reinventarsi da zero. Può mantenere qualche scambio con le figure significative per lui (sovente nonni, fratelli o sorelle), aggiornandoli sulla sua crescita, avendo possibilità di accedere facilmente ad informazioni utili (sulla salute o sugli elementi della propria storia), ricevendo la rassicurazione di essere ancora pensato.
Siamo chiamati a trovare un modo per consentire a chi viene adottato di diventare figlio senza dimenticare che figlio lo era già
Marta Casonato, psicologa esperta di adozioni
Quest’ultimo aspetto, in particolare, consente ai minori di continuare a sentirsi amati, anche se in modi perfettibili, e alimenta la rappresentazione di sé come degno di amore: rappresentazione che andrà a costruire successivamente l’autostima e la fiducia nelle relazioni, alimentate a loro volta dall’esperienza positiva in famiglia adottiva.
Gli esiti psicologici positivi sul minore vengono promossi dal lavoro che gli adottanti sono chiamati a fare per sostenere il proprio figlio nel tenere insieme queste due parti. Quanto meno gli adottanti sentiranno il passato del minore come ostile, quanto più riusciranno a valorizzare la sua identità in costruzione e per questo è cruciale che siano sufficientemente pronti e attrezzati. Altrettanto fondamentale è il ruolo dei famigliari di nascita, che non può essere ostativo nei confronti dell’adozione, ma deve riconoscerne almeno in parte l’opportunità per il minore.
Gli scambi previsti dall’adozione aperta vanno proposti con quei parenti che non solo sono stati più importanti per il minore, ma che sono stati anche in grado di accettare le ragioni dell’adottabilità
Marta Casonato, psicologa esperta di adozioni
Gli scambi previsti dall’adozione aperta, siano essi indiretti o diretti, vanno proposti con quei parenti che non soltanto sono stati più importanti per il minore, ma che sono stati anche in grado di comprendere e accettare le ragioni dell’adottabilità. Gli operatori della tutela minori dovranno continuare a fare tutto il possibile affinché questo possa accadere, mentre a quelli dell’adozione è richiesto di conoscere e valutare le coppie aspiranti tenendo sempre più in considerazione le loro capacità di accoglienza del passato del minore, l’apertura mentale e le capacità empatiche e comunicative.
Come attrezzarsi?
Come attrezzarsi, dunque? Certamente sarà necessario richiedere risorse per sostenere queste situazioni nel tempo. Perché se il supporto post-adottivo è importante in generale, qui si fa cruciale: le famiglie non possono essere lasciate sole, quantomeno all’inizio del percorso e nei momenti di transizione. L’altro tema è che sarà fondamentale poter agire con flessibilità e personalizzazione.
A mio avviso, però, c’è qualcosa che si può iniziare a fare da subito e questo qualcosa ha a che fare con le nostre rappresentazioni di professionisti. Prima ancora di chiederci quali strumenti dovremo usare per valutare le singole situazioni, prima di temere che gli aspiranti adottivi non siano disponibili all’adozione aperta, è cruciale chiedersi se noi operatori siamo pronti. Solo interrogandoci sulle nostre convinzioni, sulle nostre resistenze, solo osservando i nostri stereotipi e pregiudizi saremo in grado di smontarli e costruire un campo il più possibile libero, in cui costruire una rappresentazione nuova dell’adozione che faccia spazio all’apertura.
*Marta Casonato è psicologa, dottoressa di ricerca, esperta di formazione per l’adozione e di accompagnamento nel post adozione. Insegna presso l’Istituto Universitario Salesiano Torino ed è consulente, fra gli altri, al Centro di Terapia dell’Adolescenza-CTA di Milano, dove è responsabile del servizio FARO per il sostegno e l’accompagnamento alla ricerca delle origini. È fra i maggiori esperti in Italia di adozione aperta.
Foto di Scott Webb su Unsplash.
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