Sostenibilità

Cosa aspettarsi dal summit di New York

Dopo le manifestazioni globali contro il cambiamento climatico, si aspettano le misure dell’ONU ma il vertice di New York potrebbe non cambiare nulla

di Ottavia Spaggiari

Tempi duri per il petrolio? Forse non ancora, ma qualcosa si sta muovendo. Dopo la People’s Climate March, la marcia globale contro il cambiamento climatico che domenica ha visto milioni di persone scendere in piazza nelle principali città del mondo, in vista del vertice ONU di New York,  e organizzare 2.808 eventi satellite in 166 paesi, sembra che la lotta ai combustibili fossili stia dando i suoi frutti.

E’ stato reso noto domenica che, ad oggi, sono 700 gli enti finanziatori (tra istituti filantropici, fondazioni, università e amministrazioni comunali) che hanno aderito alla campagna Dirty Energy: Divest per il ritiro degli investimenti dalle iniziative ritenute dannose per il cambiamento climatico. Tra le organizzazioni impegnate nel passaggio all’energia pulita, che gestiscono un patrimonio di circa 40 miliardi di Euro, vi sono la British Medical Association, la fondazione britannica Joseph Rowntree Charitable Trust, la Stanford University e il Rockefeller Brothers Fund. Lanciata tre anni fa, la campagna ha raddoppiato le adesioni negli ultimi mesi.

Secondo uno studio pubblicato dalla University of East Anglia, le emissioni di CO2 dovute ai combustibili fossili è destinata ad aumentare del 2,5%  nei prossimi mesi, fino ad arrivare alla cifra record di 40 miliardi di tonnellate entro la fine dell’anno. Secondo i ricercatori, per mantenere il riscaldamento globale costante ad una temperatura di 2°C, il limite massimo oltre il quale le conseguenze del riscaldamento diventerebbero devastanti, le emissioni di carbonio in futuro non dovranno superare i 1.200 miliardi di tonnellate.

Nonostante l’urgenza di prendere misure concrete e la crescente sensibilizzazione dei cittadini però, sembra che il summit di New York non sarà un evento decisivo come sperato dai milioni di manifestanti in tutto il mondo. Tra i più negativi la giornalista scientifica Elizabeth Shogren che, sulle pagine del National Geographic, spiega perché questo summit non porterà alla firma di un trattato formale come quello di Kyoto del ’97, né ad un accordo sulle riduzioni di emissioni auspicate dai ricercatori.

“Ci sono molte ragioni per cui è altamente improbabile che si arrivi alla firma di un trattato.” Scrive Shogren. “La prima è che il Senato americano non lo approverebbe mai. Gli Stati Uniti sono il secondo Paese al mondo per emissioni di gas a effetto serra da combustibili fossili e anche la Cina e l’India, primo e terzo Paese, rifiuterebbero un accordo vincolante.”

Secondo Shrogen, con tutta probabilità a New York si otterrà una dichiarazione dell’impegno di diminuire le emissioni da parte dei singoli paesi, su base volontaria. La mancanza di un trattato vincolante è vista da molti come destinata a decretare l’inefficacia di ogni provvedimento. La vera partita è quindi rinviata e potrebbe invece giocarsi a Parigi, a dicembre 2015. Il summit dell’anno prossimo potrebbe rivelarsi particolarmente intenso, molte nazioni, tra cui l’Unione Europea e molti Paesi dell’Africa, infatti, stanno facendo pressione per ottenere un trattato che riesca finalmente a vincolare tutti i firmatari ai tagli delle emissioni.

Il summit di questa settimana potrebbe però essere un banco di prova importante, per capire quanto i diversi Paesi siano determinati ad adottare una strategia di riduzione delle emissioni e collaborare con i Paesi in via di sviluppo per arginare i danni causati dal cambiamenti climatici.

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