Politica
Corsa al voucher in ordine sparso
I buoni lavoro sempre più gettonati dai Comuni
C’è chi accetta solo i giovani, chi esclude le casalinghe, chi dimentica i cassintegrati. E chi inserisce vincoli di residenza anti immigrati. E i criteri di scelta, poi… A Marmirolo, comune di settemila anime del Mantovano, li utilizzeranno per le piccole manutenzioni urbane e per l’assistenza durante il servizio di trasporto protetto. A Forio, stazione termale dell’isola di Ischia, per la pulizia delle spiagge e per le attività di supporto all’organizzazione di manifestazioni culturali, sportive e caritatevoli.
I Comuni italiani, messi a stecchetto dai tagli delle Finanziarie, giocano la carta dei buoni per il lavoro occasionale accessorio per reclutare risorse umane e assicurare servizi importanti come il giardinaggio, la manutenzione di parchi, la sorveglianza all’uscita dalle scuole o l’apertura straordinaria di musei.
Un vero e proprio jolly per gli enti locali alle prese con il blocco delle assunzioni. I buoni lavoro (o voucher), introdotti dalla legge Biagi e sperimentati per la prima volta in agricoltura con la vendemmia del 2008, sono infatti uno strumento di pagamento molto pratico. I tagliandi, da 10 o da 50 euro, includono la paga, la copertura previdenziale Inps e assicurativa Inail e possono essere acquistati presso l’Inps, via telematica e ora anche in tabaccheria.
Utili perché flessibili e perché vanno a sostenere categorie deboli. I “prestatori” possono essere infatti solo studenti, pensionati, casalinghe, disoccupati e lavoratori part time, cassintegrati (Ancona li utilizzerà al posto dei contributi economici per i poveri).
Quella dei voucher, tuttavia, appare una partita che i Comuni stanno giocando con regole ballerine. Vita ha provato a consultare i bandi, predisposti da una quarantina di amministrazioni locali, per la ricerca di persone interessate a lavorare tramite i buoni lavoro. Avvisi per la formazione di elenchi, in sostanza, da cui i Comuni attingeranno per i lavoretti. Il quadro è variopinto. Emergono disparità nelle categorie ammesse, nei requisiti richiesti e, soprattutto, nei criteri di selezione dei soggetti a cui affidare le prestazioni occasionali.
Quanto al primo aspetto, i beneficiari, c’è chi accetta solo i giovani, chi esclude le casalinghe, chi dimentica i cassintegrati. Certo, se la prestazione richiesta è qualificata, i paletti sono giustificati (il Comune di Susegana nel Trevigiano, ad esempio, per l’inserimento di dati informatici ha reclutato solo studenti iscritti a corsi scientifici).
Non si capisce, però, perché debbano essere messi i “soliti” vincoli di residenza per gli immigrati (addirittura dieci anni a Chiusi della Verna, in provincia di Arezzo) né perché numerosi municipi chiedano la fedina penale pulita tagliando fuori gli ex detenuti.
Ricco anche il campionario di informazioni per la compilazione dei moduli di domanda: la maggior parte dei Comuni richiede solo una semplice istanza con i dati anagrafici e lo stato occupazionale, altri il curriculum (Monte Argentario), altri ancora anche l’Isee (Sarsina).
Il meglio, si fa per dire, i Comuni lo danno nella elaborazione dei criteri di selezione dei beneficiari. Gettonatissimi i criteri di priorità: i licenziati (Civate), chi esibisce una relazione dei servizi sociali (Sarsina), chi allega il contratto di locazione (Osio Sopra). Altri puntano sul sorteggio o sulla data della domanda. La maggior parte, tuttavia, non prevede graduatorie ma stabilisce che il personale sia chiamato in base alle necessità, alle attività da svolgere, all’esperienza posseduta o al titolo di studio.
Una scelta che, se accresce la flessibilità dello strumento, rischia di prestare il fianco ad un suo uso clientelare. I voucher agli amici degli amici?
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