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Corpi civili di pace, il primo bando è un flop. Ma si può rimediare

Dati alla mano, se tutti i 15 progetti presentati saranno approvati, si coprirà solo la metà dei 200 posti disponibili. "Bando troppo oneroso in termini di costi e impegno per gli enti, vedi le 100 ore di formazione ai formatori. Ma si sta studiando un nuovo bando entro l'estate con procedure più snelle"; rilancia Giovanni Bastianini, presidente della Consulta nazionale per il servizio civile. E lancia un'idea: "pensiamo anche a una presenza dei Ccp in Italia, per esempio nelle conflittualità territoriali legate all'inserimento dei richiedenti asilo"

di Daniele Biella

Per la prima volta nella storia d’Italia, e dopo anni di lavoro di persone, enti e istituzioni, a fine 2015 era arrivato il primo bando governativo per inviare in zone di crisi umanitaria 200 giovani come Corpi civili di pace. A metà febbraio la chiusura delle domande, ora la sorpresa: in tutto una quindicina di progetti presentati, per 100 posti. Ovvero, la metà di quelli disponibili. A prima vista, un cortocircuito inaspettato e allarmante. “Sì, ma abbiamo trovato le ragioni. E si sta già pensando a un secondo bando, prima dell’estate, per superare le difficoltà che si sono presentate nel primo. Difficoltà per gli enti, non per i giovani che, quando sarà il momento, di sicuro risponderanno con grandi numeri”, sottolinea Giovanni Bastianini, presidente della Consulta per il servizio civile – il bando dei Ccp, Corpi civili di pace, rientra come sperimentazione sotto il cappello del Dipartimento gioventù e servizio civile della presidenza del Consiglio dei ministri – nel commentare la notizia ai margini del Convegno Oltreconfine: dal servizio civile all’estero ai corpi civili di pace, tenutosi di recente a Bologna.

Quali sono stati i motivi che hanno generato il basso numero di progetti presentati? “Una serie di paletti faticosi, che hanno disincentivato gli enti a partecipare in massa. Uno fra i primi è di natura economica: nei requisiti è richiesta la partecipazione dei formatori di ciascuna realtà associativa a una formazione di 100 ore a Roma, organizzata dal Dipartimento e dall’università. Di certo un’opportunità di alta qualità, ma insostenibile per molti enti, perché significherebbe togliere per almeno 15 giorni i propri quadri formativi dalle mansioni lavorative normali per seguire tale nuova formazione. Bisogna trovare soluzioni diverse, e su questo nell’ultima Consulta si sono trovati d’accordo sia gli enti che i rappresentanti governativi”, continua Bastianini. “Ora si sta lavorando in tal senso, in previsione di un nuovo bando entro l’estate, dove le legnosità del primo bando verranno superate, e perché questa prima sperimentazione dei corpi civili di pace colpisca veramente nel segno e non rimanga solo una buona intenzione”.

Il presidente della Consulta ha indicato anche un’ulteriore pista di ragionamento per rendere ancora più efficace l’esperienza dei Ccp: “sono pensati per intervenire all’estero, ma si potrebbe pensare a un impiego anche in Italia, in particolare penso alle situazioni conflittuali o potenzialmente tali legate all’inserimento territoriale dei richiedenti asilo, in collaborazione con Prefetture e organi locali, ovviamente”. A oggi, nel regolamento del bando è prevista una presenza italiana dei Corpi civili di pace, ma solo per non meglio specificati “conflitti ambientali”. Il passo proposto da Bastianini andrebbe verso l’inserimento di Ccp – “ma anche di progetti di servizio civile nazionale – nella risoluzione nonviolenta di conflittualità sociali, “per il bene di tutti”. C'è già un primo appoggio, quello di Giulia Zurlini Panza, operatrice del Corpo civile di pace dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, Operazione Colomba, e autrice del libro : "è un'idea da sostenere", ragiona. Ora, parola alle istituzioni e agli enti coinvolti.

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