Mondo
Coronavirus: rischi e potenzialità della geolocalizzazione dei malati
Prima sono state Cina, Corea del Sud e Singapore. Oggi anche in Italia si immagina di usare gli smartphone per controllare che i cittadini rispettino la quarantena. Soluzione del problema o limitazione della libertà personale e violazione della privacy? Un'analisi del digital marketing manager Riccardo Bianchi
In Cina, ogni cittadino ha più di un’app che si può scaricare in cui vedere gli spostamenti dei malati di tutto il paese. Puoi sapere chi è vicino a casa tua, che cosa fa, dove sta andando, i colori indicano i giorni da quando è stato dichiarato infetto. In questo modo, si dice, si evita di incontrarlo mentre si va a fare la spesa, o per strada.
Addirittura Baidu, che è il Google cinese, ha messo la possibilità su Baidu Maps di controllare dove sono i casi vicini. Mentre cammini, lo puoi scansare.
Il sistema funziona, indubbiamente. Registra la tua sim e la traccia. Ha solo un piccolo problema: basta un incrocio di dati (per chi li sa fare) e scopri chi è malato. Se poi vivi in paesi piccoli, dove magari le case sono monofamiliari o bifamiliari, o in quelle distese della Brianza o della bergamasca fatte di villette a schiera all’americana, non serve nemmeno essere bravo con il computer: basta capire qual è l’abitazione, e sai dove sta l’infetto.
Corea, tutto sul malato, niente per la privacy
In Corea c’è altro: un’app ti avverte se nel raggio di 100 metri c’è un malato o un ex malato. Lo scopo è evitare di incontrarlo, ma ha un altro problema: il negozio dove la persona va a fare rifornimento, può scordarsi clienti per un po’. Il numero di download è di vari milioni. Inoltre ti mostra anche genere, età, nazionalità, luoghi visitati pure in passato; praticamente manca il nome.
Lo Stato distribuisce i dati. Sfuggire non è possibile
Direte voi: bene, cambio il cellulare, prendo una sim col nome di un altro oppure esco dai social. Ricordiamoci soltanto che in un paese come la Cina, se la Polizia digitale ti chiude gli account social, tu non puoi più pagare né farti riconoscere. Tutto passa dai social (si paga con WeChat praticamente tutto) e quindi è come essere messi fuori dalla società.
Da dove arrivano questi dati? Dallo Stato. Lo Stato mette a disposizione gli open-data (database aperti e analizzabili) con i dati dei malati, tranne il nome. Il fondatore dell’app coreana ha deciso di crearla perché gli open-data erano troppo difficili da capire, e così voleva avere uno strumento intuitivo. In Cina è più o meno la stessa cosa, anche se lì il Partito Comunista approva o vieta ogni cosa, quindi c’è sicuramente la mano anche del Governo.
Quanto tutto ciò mette a repentaglio la privacy? Al 100%. Non si tratta di un ente governativo che controlla i cittadini per il bene dei cittadini stessi. Questi sono dati aperti a tutti, e quindi anche io azienda con due semplici incroci di dati posso risalire ai malati e magari mandargli pubblicità specifica, o ai vicini dei malati e fargli vedere pubblicità di mascherine, guanti, tute o altro (basterebbe unire gli spostamenti segnati dal governo con quelli di un’app qualsiasi sul vostro cellulare per capire che voi siete quei determinati malati).
Singapore, tutti controllabili da tutti
C’è poi c’è chi è andato oltre: in Singapore, tutti i cittadini sono schedati e le telecamere posizionate in ogni parte della città usano il riconoscimento facciale per controllare non solo gli spostamenti, ma anche le intenzioni. Ha fatto discutere la storia di un uomo arrestato preventivamente; secondo le autorità percorreva troppo spesso gli stessi tragitti di una ragazza, e quindi aveva intenzione di farle violenza. Quando si dice “schedati”, si intende che le carte di identità sono elettroniche, e contengono tutte le informazioni sulle tue violazioni o i fatti che ti hanno coinvolto in passato, che chiunque abbia un motivo valido può richiedere di leggere. E tra i motivi validi c’è anche il bisogno di fare affari con te, per sapere se paghi o se sei un fallito.
La reputazione sociale, valore orientale
La reputazione sociale è un valore molto forte in oriente, da sempre tenuto molto in considerazione dagli enti governativi. Non a caso il reverendo che ha diffuso il virus in Corea e ha nascosto il problema per non fare brutta figura, ha dovuto chiedere scusa in diretta tv e inginocchiarsi, ma ora rischia di perdere tutto.
Italia, dati anonimi, ma poche norme
Come funziona in Italia? Secondo le prime notizie uscite, i metadati saranno anonimi e non condivisi. Il problema è che esistono poche leggi chiare e definite sull’uso dei dati da parte degli enti pubblici in Italia e in Europa.
Le potenzialità sono tante: nello studio della Social Physics, si possono valutare le occasioni principali di contagio, di incontro, capire come si muove il virus e quindi fermarlo, e allo stesso tempo studiare come collegare gruppi di aiuto a persone che non possono muoversi di casa. Se in mani sicure, questi dati possono trovare la soluzione a tanti problemi o addirittura anticiparli.
Limitazione della libertà personale o soluzione ai problemi?
Il problema è che qui il geotarget, il controllo geolocalizzato delle persone, lo sta chiedendo la gente stessa. Esasperata dalla bassa responsabilità dei concittadini, chiede allo Stato di mettere tutti sotto controllo. Un po’ come in Usa ha fatto poco scalpore sapere che i servizi segreti controllavano milioni di telefonate di ogni americano; la giustificazione della “difesa dai terroristi” ha avuto la meglio sul valore della libertà.
Porterà tutto ciò a una limitazione della libertà? A un Grande Fratello che ti giudica? Penso che sarà proprio la gente a chiedere il Grande Fratello e la valutazione della reputazione online, un tripadvisor per ciascuno di noi. Mi preoccupa sapere se gli enti governativi sapranno almeno usare i dati per gli scopi positivi: senza interi dipartimenti di capaci analisti di social data, diventa solo un controllo di polizia.
*Riccardo Bianchi è giornalista e digital marketing manager. Cura il blog Il Bianchi
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