Cultura

Coronavirus: le immagini che rimangono come quella piazza vuota

Eravamo entusiasti adoratori dell’usa e getta globale – la società liquida di Zygmunt Bauman, ricordate? – ora siamo investiti e sopraffatti da immagini che non vogliono saperne di essere scrollate via, da immagini che rimangono. La più sconcertante – per eccezionalità e simbolismo – le altre riassume: è l’immagine di Papa Francesco che, solo, sotto la pioggia, claudicante, in una piazza San Pietro vuota

di Doriano Zurlo

Siamo in un periodo di immagini forti. Alcune incendiano i cuori. Altre, spaventano. Quasi tutte lasciano il segno.

Infermieri vestiti da astronauti. Città vuote. Senzatetto che dormono nei parcheggi. Intanto, a Milano, un uomo cammina nudo in corso Buenos Aires. Arrivano tre volanti. Lo fermano. Lo buttano a terra. Lo ammanettano.

Ieri: i camion militari in uscita da Bergamo. Ora non ci sono più, ma l’immagine rimane, ben impressa nella memoria. I camion e il loro carico di bare. (Bare che però non si vedono. Accade, anche spesso, che sia l’invisibile a dare potenza al visibile, nelle immagini).

Oggi: il mondo ha smesso di girare. O forse no. Gira ancora quanto basta per ribaltare un barcone nel Mediterraneo. E chissà di quanti non sappiamo e non sapremo mai nulla.

Al TG: campi profughi affogati nell’immondizia e nell’attesa fatale, inerme, del virus. Ma: il sorriso di una persona molto anziana che è guarita, anche.

Arriva una messaggio, con foto allegata. Un vecchio amico prete non ce l’ha fatta. Nella foto, sorride. Come ha fatto in tutta la sua vita di compagnia a chiunque ne avesse bisogno. Bisognerà pure ricordarli uno a uno, per nome e cognome, questi preti morti per il virus. Questo era padre Bruno Castricini dei Servi di Maria, parroco a Torino. E il suo volto è un’immagine forte, che già manca.

Immagini, immagini, immagini. Schiaccianti, icastiche, ingombranti, fragili, roboanti. Eravamo entusiasti adoratori dell’usa e getta globale – la società liquida di Zygmunt Bauman, ricordate? – ora siamo investiti e sopraffatti da immagini che non vogliono saperne di essere scrollate via, da immagini che rimangono. Si può resistere a tale potenza iconica senza rimanerne turbati?

La più sconcertante – per eccezionalità e simbolismo – le altre riassume: è l’immagine di Papa Francesco che, solo, sotto la pioggia, claudicante, in una piazza San Pietro serotina e quasi dolce nel suo esser vuota, si avvia verso l’adorazione eucaristica. È il 27 marzo dell’Urbi et orbi.

Ha scritto Aldo Grasso: «L’eccezionalità di un momento come questo non sta tanto nelle parole, che pure mettono i brividi (…), ma nel silenzio, nella pienezza del nulla, nell’abisso di ‘un’umanità atterrita dalla paura e dall’angoscia’. Mentre il Papa impartisce la benedizione si sentono solo le campane, qualche sirena e la pioggia che cade. Anche questa è preghiera».

Lo hanno capito tutti che si è trattato di una immagine epocale. Tutti, tranne Sgarbi. Uno che di immagini dovrebbe intendersene. (Passi che non capisca nulla del resto, ma almeno della materia sua…). Tutti, tranne Socci. Uno che di religione dovrebbe intendersene. (Passi che non capisca nulla del resto, ma almeno della materia sua…).

L’immagine è importante nella religione cattolica. L’immagine porta l’evento. Essa non è mera apparenza (può essere, semmai, apparizione), né inganno, come vuole certa filosofia che, svuotando la materia di cui siamo fatti, svaluta la sensibilità, lo sguardo, il cuore e la carne.

Oggi, in un tempo in cui l’immagine massmediatica è più forte di quella artistica, la piazza vuota del Papa fa piazza pulita delle immagini inessenziali cui la nostra vita liquida – che poi è banalmente una vita su Instagram – ci aveva abituati.

Lo ha capito anche chi non ha grande dimestichezza con le cose di sagrestia. Scosso dall’immagine, ad esempio, l’ateo afferma: io non sono credente, ma non ho mai visto qualcosa di così potente come Papa Francesco nella piazza vuota… (quante volte lo abbiamo letto sui social?).

Il Cattolico Saputello – categoria trasversale agli schieramenti politici, e vagamente perniciosa – lo irride. Impressionabilità alle immagini diffuse dai mass-media, dice. Vulnerabilità emotiva dovuta a quella miopia per il trascendente nel quale ha immerso la propria esistenza, aggiunge. Sentimentalismo suscitato da un’immagine forte, conclude, insufficiente a elevarlo alle altezze spirituali cui lui invece è abituato.

Il Cattolico Saputello disprezza l’ateo che si emoziona di fronte alla piazza vuota, popolata di un solo uomo vestito di bianco; ma così facendo ignora quanta stima per le immagini abbia proprio la religione che lui stesso professa. Dovrebbe rileggere il decreto Della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei santi e delle sacre immagini, promulgato dal Concilio di Trento nel dicembre 1563, nel quale si chiarisce che la conoscenza attraverso le immagini non è conoscenza di livello inferiore, buona solo per l’analfabeta di allora o per l’ateo suggestionabile di oggi. È comunicazione, è conoscenza, attraverso il raffigurato, di ciò che lo origina. L’immagine porta l’evento.

Forse l’ateo che subisce il contraccolpo dell’immagine epocale della piazza vuota è più vicino al divino di chi sa già tutte le risposte e ne ha anche una prefabbricata per questa iattura mondiale chiamata pandemia.

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