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Coronavirus, la forza tranquilla della protezione civile

Potrebbe essere l’intermediazione sociale degli enti del Terzo settore a rimettere un po’ tutti in riga: comunicando in maniera semplice e schietta, affiancando politici in vena di misure draconiane, organizzando la presenza del volontariato con compiti di cura e di coesione sociale. E proprio la protezione civile è il punto di incontro fra attivismo civico e istituzioni

di Flaviano Zandonai

Anche se si risolvesse in un poco di fatto – e si trattasse quindi di una manifestazione non così virulenta – da Covid-19 avremo comunque molto da imparare. A livello di comunicazione scientifica ad esempio, smorzando le tifoserie di follower che seguono il loro virologo di riferimento attratti più dai toni che dai contenuti.

E che dire dell’azione pubblica di governo? Con decisioni dove non è facile stabilire il confine tra reale efficacia e devoluzione delle responsabilità senza guardare più di tanto agli effetti indiretti e di medio periodo? E infine noi, la società civile che è scivolata allo stato di folla svuotando i supermercati e intasando call center, ma rimanendo lontana dai servizi sanitari.

Certo, per ognuno di questi comportamenti c’è un’ottima giustificazione e cioè l’incertezza: sulle cause, sugli effetti, sulla diagnosi, sul futuro. Indubbiamente non è facile decidere, ma diciamo che c’è margine per recuperare in termini di capacità di elaborare risposte.

Sì ma da dove cominciare? Riprendendo le riflessioni di Marco Dotti un contesto interessante è quello dell’intermediazione sociale dove operano soggetti, in gran parte di terzo settore, con compiti sia di esecuzione di attività, sia di organizzazione dell’advocacy, sensibilizzando e creando consenso.

Si notano, su questo fronte, due interessanti tendenze: da un lato uno sforzo molto pulviscolare e improvvisato – e forse ci si poteva pensare – di riorganizzazione di servizi sociali, educativi, sanitari, culturali che le misure di government hanno chiuso, ridimensionato, limitato. In questo ambito prevale uno storytelling che testimonia uno sforzo importante per cercare di mantenere attiva un’offerta – asili, scuole, centri di aggregazione – chiamata oggi a essere erogata in ambienti diversi.

Un’interessante occasione di apprendimento rispetto a modelli di servizio più dislocati che grazie anche a un utilizzo finalmente sostanziale della tecnologia sono capaci di recuperare un rapporto più ravvicinato rispetto alle dinamiche della riproduzione sociale a livello familiare e comunitario. In sintesi una settimana a casa con i figli usando il tablet per lezioni e compiti può essere un’occasione per rigenerare capacità educative approfittando del fatto che i luoghi deputati a fare da “centro di servizio” non sono accessibili.

La seconda tendenza riguarda invece un particolare soggetto intermediario, dalle caratteristiche organizzative davvero peculiari, ovvero la protezione civile. Un ibrido tra pubblica amministrazione e volontariato che forse non proprio repentinamente potrebbe comunque dispiegare la sua “forza tranquilla” mischiando tecnocrazia centralista e capacità di risposta localizzata, ad elevata intensità relazionale. Potrebbe essere proprio lei, e non sarebbe la prima volta, a rimettere un po’ tutti in riga: comunicando in maniera semplice e schietta, affiancando politici in vena di misure draconiane, organizzando la presenza del volontariato con compiti di cura e di coesione sociale.

Certo, anche per la protezione civile la sfida non è semplice, soprattutto se i focolai dovessero ampliarsi, ma a ben guardare è l’unica struttura capace di moltiplicare i punti di contatto la dove si manifesta il bisogno e, al tempo stesso, di fluidificare i meccanismi decisionali.

Una risorsa preziosa non solo in tempi di coronavirus, ma anche rispetto ad altre sfide come i cambiamenti climatici che già ci hanno colpito e che caratterizzano ancor di più gli anni a venire. Un punto di equilibrio tra la possibile deriva autoritaria dei poteri governativi e il fai da te di comunità locali che di fronte a un problema di scala superiore alla propria capacità di assorbimento rischiano di implodere.


*Flaviano Zandonai innovation maganer CGM

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