Volontariato
Coronavirus e Volontariato. Una riflessione da aprire
L’eccezionalità della situazione pone l’intero ordinamento giuridico davanti a questioni e dilemmi inediti e di non facile soluzione e interessa anche il volontariato. Il volontariato deve, a determinate condizioni, “ibridarsi” con i rapporti di lavoro? Ed è questa una norma che riconosce ciò che già avviene (silenziosamente), oppure una norma che libera una possibilità sino ad oggi preclusa? L’incompatibilità è una sorta di paratia mobile, destinata a saltare in momenti di emergenza, o è tratto distintivo dell’identità dei volontari in Italia? Discutiamone
di Luca Gori
Il decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14 (Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all'emergenza COVID-19) introduce, all’art. 6, una rilevante novità in tema di volontariato. La disposizione afferma che «per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, per il periodo della durata emergenziale, come stabilito dalla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, non si applica il regime di incompatibilità di cui all'articolo 17, comma 5, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117».
L’art. 17, comma 5 è la norma del Codice del Terzo settore che sancisce l’incompatibilità assoluta fra la qualità di volontario e «qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria». È una delle pietre angolari della riforma del Terzo settore. Proprio qualche giorno fa, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (nota direttoriale n. 2088 del 27 febbraio 2020), a proposito di questa disposizione, precisava come l’art. 17, comma 5 «abbia una portata ampia e generalizzata, riferibile, da un lato a “qualsiasi rapporto di lavoro” e, dall’altro, facendo riferimento al volontario sic et simpliciter, non introduce alcuna distinzione tra volontario stabile e volontario occasionale». Ciò è motivato dalla necessità di valorizzare, da un lato, la libera scelta del volontario e, dall’altro di assicurare la necessaria tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche dell’azione volontaria.
L’art. 17, c.5, in realtà, conteneva già una deroga permanente, introdotta dal decreto legislativo integrativo – correttivo del 2018, a favore degli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento (Antonio Fici, proprio su Vita, già notava in prospettiva come la «deroga apre forse una breccia nel principio di cui all’articolo 17, comma 5, e potrebbe condurre ad un suo ripensamento»).
L’eccezionalità della situazione pone l’intero ordinamento giuridico davanti a questioni e dilemmi inediti e di non facile soluzione. Gli stessi organi costituzionali – a partire dalle Camere – si trovano nella difficile situazione di dover “ripensare” le loro forme e regole di funzionamento.
E, dunque, anche il volontariato non può considerarsi esente da questa riflessione.
Il decreto-legge introduce un tema rilevantissimo. Una trasformazione repentina che potrebbe avere delle conseguenze a lunga gittata. Per un periodo di tempo determinato (sei mesi, secondo la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 che ha dichiarato lo stato di emergenza, che potranno essere prorogati), la deroga consente che soggetti che sono qualificati dalla legge come volontari, possano intrattenere anche rapporti di lavoro di qualsiasi tipo con l’ente nel quale svolgono la propria attività (ad es., un medico volontario in una ODV, che viene contrattualizzato); oppure, per altro verso, che un lavoratore possa altresì svolgere attività di volontariato in qualità di volontario nell’ente nel quale lavora (ad es., il medico dipendente che svolge anche attività di volontariato nella propria ODV.
Nonostante la disposizione sia finalizzata a «fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19», essa, in realtà, si applica alla generalità degli enti ed in ogni ambito di attività di interesse generale. Altra disciplina giuridica è quella dei volontari inseriti nel sistema della protezione civile, ai sensi del Codice della protezione civile (d.lgs. n. 1 del 2018).
Sin qui, il dato giuridico. Vedremo la sorte che la disposizione avrà in sede di conversione in Parlamento. Ma occorre andare più in profondità, indagare il significato, assumendo anche uno sguardo di prospettiva.
L’emergenza sembra rendere possibile una “ibridazione” a tempo, fra le due qualità. Potrebbe significare che – a fronte di una sfida così ardua – ci sia la necessità di “rafforzare” la presenza del volontariato più qualificato, riconoscendogli almeno in parte le tutele ed una retribuzione tipiche del rapporto di lavoro. Ciò innesca, inevitabilmente, una riflessione sul significato del volontariato dentro questa situazione: a cosa è chiamato al volontariato, in questo frangente emergenziale? Forse la crescente richiesta di servizi ed interventi e, quindi, rende inadeguato il volontariato e suggerisce l’introduzione di un fattore rafforzativo (retribuzione, tutele previdenziali, ecc.)?
Ma potrebbe anche significare che è necessario dare un riconoscimento a quei lavoratori del Terzo settore (ma non solo: l’art. 17 si applica anche al di là degli ETS…) che, ben oltre quanto previsto su base contrattuale, stanno operando senza sosta. Si potrebbe voler dire che è necessario attrarre questi lavoratori nell’orbita dello status di “volontario” (assicurazione, rimborso spese, ecc.), per non lasciarli nel limbo del “lavoro gratuito”. Ciò pone, però, qualche dilemma per ciò che riguarda il punto di bilanciamento fra lo spirito solidaristico che li anima e l’art. 36 Cost. (il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro) nonché la delimitazione del punto in cui termina il lavoro e dove inizia il volontariato. Sembra muoversi in questo senso la relazione illustrativa del decreto-legge, secondo la quale l’art. 6 è «finalizzato a consentire ai soccorritori, dipendenti delle organizzazioni di volontariato, di svolgere anche attività di volontariato in favore delle stesse organizzazioni, limitatamente alla durata dell'emergenza». Rispetto alla formulazione del decreto legge, assai ampia, la relazione sembra avere in mente un caso ben più circoscritto (se così fosse, allora sarebbe necessaria una modifica della norma).
In ogni caso, colpisce che il COVID-19 inneschi (anche) una crisi di identità dell’art. 17, ponendoci davanti ad alcune domande: il volontariato deve, a determinate condizioni, “ibridarsi” con i rapporti di lavoro? Ed è questa una norma che riconosce ciò che già avviene (silenziosamente), oppure una norma che libera una possibilità sino ad oggi preclusa? L’incompatibilità è una sorta di paratia mobile, destinata a saltare in momenti di emergenza, o è tratto distintivo dell’identità dei volontari in Italia?
Forse, rendere evidente la ratio di questa disposizione può essere utile per comprendere discutere. Indubbiamente, ci stiamo accorgendo dell’essenzialità delle relazioni innescate dal volontariato nelle nostre comunità: sia per quelle che possiamo vedere nel tempo dell’emergenza, sia per quelle che si sono trasformate, a causa dell’emergenza, sia, infine, per quelle che sono state necessariamente e dolorosamente sospese.
Mettere in fila queste riflessioni (accanto a quelle già rilanciate su Vita) è un utile esercizio perché l’uscita dall’emergenza – quando sarà – non ci trovi impreparati.
*Scuola Superiore Sant’Anna – Centro di ricerca «Maria Eletta Martini»
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