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Corno d’Africa, serve una “Road Map”

di Giulio Albanese

Vorrei condividere con i lettori di questo Blog alcune considerazioni sulla gravissima situazione geopolitica che interessa il Corno d’Africa. È quanto ho scritto per l’edizione odierna di Avvenire. Per carità non solo un politologo di questioni internazionali, ma da anni seguo le vicende africane. La mia convinzione è che i centri decisionali della politica estera e di sicurezza internazionale non posso sottovalutare quanto sta avvenendo nella suddetta regione africana. Anziché affrontare le crisi dei singoli Paesi quasi fossero questioni a sé stanti, dovrebbero piuttosto definire un’agenda comune, una sorta di “Road Map” regionale, prima che sia troppo tardi. Finora l’unica iniziativa multilaterale, francamente deludente sia dal punto di vista logistico che degli aiuti umanitari, ha riguardato l’emergenza alimentare nel Corno d’Africa. Tra i numerosi dossier attinenti la regione, in primis vi è la guerra non dichiarata ma già in atto tra Nord e Sud Sudan. La dice lunga il bombardamento di un campo profughi, quello di Yida, che si trova a circa 15 chilometri dal confine, avvenuto giovedì scorso. A questo proposito l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navy Pillè, ha chiesto venerdì un’indagine indipendente, approfondita e credibile sul raid aereo che sarebbe stato effettuato dall’aviazione nordsudanese.

Le autorità di Juba accusano il regime nordsudanese di operare queste azioni con l’intento di provocatore una nuova guerra. Ma Khartoum respinge tutto al mittente, affermando che si tratta di macchinazioni studiate a tavolino per screditare la reputazione del proprio presidente Omar Hassan el Beshir. Un personaggio questo, è bene rammentarlo, ricercato dalla Corte Penale Internazionali per gravissimi crimini perpetrati dal suo regime nella tormentata regione del Darfur. Vi è dunque il tangibile rischio che la contesa tra Nord e Sud Sudan, possa riproporre lo scenario precedente agli accordi di pace siglati a Nairobi nel gennaio del 2005. A fronte di quanto detto sinora, vanno segnalate almeno altre tre crisi, una cronicamente latente e le altre due conclamate. Anzitutto la “guerra fredda” tra Etiopia ed Eritrea, tangibile già da oltre un decennio, anche se con andamento ondivago. A fronte dell’isolamento internazionale cui il governo di Asmara (secondo me, più che giustificato) è sottoposto, si registra l’avvicinamento del presidente Isaias Afwerki verso Iran, Corea del Nord e partner della sponda saudita. Inoltre, pare sia ripresa la collaborazione militare con gli al Shabaab somali che si oppongono al governo di transizione di Mogadiscio internazionalmente riconosciuto. Ed è proprio la Somalia la zona più incandescente del Corno d’Africa, non solo per l’acuirsi del conflitto interno, ma anche a seguito dell’intervento militare keniano che mira a debellare la rivolta degli estremisti al Shabaab. Nel frattempo a Nairobi cresce la preoccupazione per le azioni terroristiche già operate dai miliziani somali sul territorio keniano. Peraltro il 2012 sarà l’anno delle elezioni generali in Kenya e le divisioni interne all’attuale esecutivo di unità nazionale lasciano presagire accese lotte per il controllo del potere, dalla forte connotazione non solo partitica, ma anche etnica. Dulcis in fundo, è in gioco anche la rinegoziazione dei termini per la distribuzione delle quote delle acque del Nilo, fermi all’accordo precoloniale del 1951. Si tratta di ridefinire le regole di condominio rispetto al vastissimo bacino idrografico, considerando la riluttanza del Cairo a grandi concessioni. Il nuovo corso egiziano sembra infatti prediligere un indirizzo filoislamico e potrebbe perciò ulteriormente favorire, proprio a partire dalla riottosa Somalia, le fazioni avverse ai Paesi filooccidentali:, Kenya, Sud Sudan, Uganda oltre all’Etiopia.

Resta da vedere quali futuri scenari potranno delinearsi prossimamente, considerando che al momento, duole doverlo scrivere – nessuna ipotesi realistica, ragionevole e non condizionata da pregiudizi ideologici è stata avanzata in sede internazionale, al di là dei soliti pronunciamenti formali che lasciano il tempo che trovano. Ciò rappresenta l’incognita maggiore quanto all’evoluzione positiva dell’intero scacchiere del Corno d’Africa.

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