Non profit

Corea, resta il dramma della fame

Demolito l'impianto nucleare. Ma il fabbisogno alimentare ha dimensioni enormi

di Redazione

di Riccardo Bianchi

La Corea del Nord ha demolito la torre di raffreddamento dell’impianto nucleare di Yongbyon. Si tratta di una struttura che serve a produrre plutonio, un elemento che non esiste in natura, ma che è perfetto per i processi di fusione nucleare. Tecnicamente, però, ricostruire una torre del genere non è per niente complicato.
Tutto ciò ha comunque un forte significato simbolico: sembra voler dire che la Corea del Nord è pronta a smantellare il proprio arsenale atomico. Proprio ieri Pyongyang aveva consegnato alla Cina i dettagli sulla propria attività nucleare, annunciando di volerla fermare. Ma il presidente americano Bush, pur apprezzando i buoni propositi del regime, ha detto che si tratta solo di un primo passo.

È chiaro che dietro alla decisione del regime di Kim Jong-Il non vi sono soltanto questioni morali, ma soprattutto economiche. Le terribili carestie che hanno colpito il paese negli ultimi dieci anni e le alluvioni che nel 2007 hanno distrutto l’11% del già scarso raccolto, hanno messo in ginocchio la popolazione.
Il governo ha fatto il resto. Ha investito le scarse finanze in progetti bellici, ha fermato gli acquisti di fertilizzanti e macchine agricole di produzione occidentale (l’unico paese con cui ha scambi commerciali è la Cina) e nel dicembre 2005 ha allontanato tutte le ong dal proprio territorio.

Tra queste c’era anche il Cesvi, la prima ad entrare nel paese nel 1997, a seguito di una gravissima carestia, che aveva ridotto in fin di vita oltre 2 milioni e mezzo di nordcoreani.
All’inizio del 2008 la Fao ha ammesso che per risolvere la crisi alimentare sarebbero state necessarie più di 1,6 milioni di tonnellate di cibo, cioè il un quarto del fabbisogno regolare del paese. Durante quest’anno circa 6,5 milioni di nordcoreani rischiano di soffrire la fame, mentre il resto della popolazione dovrà accontentarsi di una dieta poco nutriente.

Secondo la ricerca del 2004 del Programma Alimentare Mondiale (l’ultima che il governo ha concesso di svolgere) il 37% dei bambini vive in uno stato di costante malnutrizione, mentre una madre su tre è malnutrita e anemica.

Il regime è quasi obbligato ad aprire agli aiuti, il che lo costringe a venire a patti per fermare il proprio piano nucleare. Già le 500mila tonnellate di alimenti che il mese scorso il governo statunitense ha donato alla Corea per «motivi umanitari» sono apparsi più una merce di scambio che un’offerta disinteressata.
Proprio ieri Hubert Pirker, presidente della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con le due Coree, ha annunciato che l’Unione Europea è pronta a mandare 130 macchine agricole a Pyongyang.
«Trattori invece che bombe» ha sentenziato Pirker, prima di aggiungere che anche gli altri paesi impegnati nelle relazioni con il regime sono pronti a mandare cibo e petrolio, perché anche quello scarseggia.
L’unico rischio è che questi buoni propositi facciano la fine dell’operazione irachena «Food for oil», quando la nomenclatura iniziò ad arricchirsi vendendo il petrolio al mercato nero, mentre la gente continuava a soffrire la fame. A Pyongyang il petrolio non c’è, ma qualcosa da scambiare si trova sempre. Sarà soltanto un caso che alcune fondazioni legate a grandi multinazionali abbiano investito in progetti per la Corea del Nord? In fondo è sempre un mercato. E ancora chiuso.

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