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Corbetta, il mago del capitalismo familiare che aveva scelto l’affido

Il professore di Strategia aziendale della Bocconi, famoso per aver curato i passaggi generazionali di grandi nomi dell'industria italiana, è morto a 65 anni. Era amato da molti degli imprenditori che aveva aiutato perché, oltre a essere un grande tecnico, era una persona di un'umanità generosa. Da 10 anni, con quattro figli ormai grandi, era diventato genitore affidatario insieme alla moglie Rossella

di Giampaolo Cerri

Guido Corbetta era un professore di Strategia aziendale dell’Università Bocconi di Milano, un docente famoso, uno studioso internazionalmente stimato. Se ne è andato domenica scorsa, a 65 anni.

Era un riconosciuto esperto di passaggi generazionali nelle grandi aziende: molte famiglie importanti dell’impresa italiana, industriali anche di storia centenaria, l’avevano chiamato a studiare successioni complesse, di gruppi articolati e di rami familiari ampi e numerosi. Le classiche situazioni che, talvolta, portano a rotture insanabili dei rapporti e all’impoverimento di aziende storiche, il cui patrimonio finisce così frazionato da impedirne, nei fatti, la prosecuzione, anche se magari i marchi resistono per qualche altro anno ancora.

La sfida di continuare anziché vendere ai fondi

Corbetta ha costituito, per molte famiglie industriali italiane, l’alternativa al classico fondo di investimento, più o meno americano, a cui cedere la maggioranza, se non tutto: ipotesi quest’ultima più redditizia, sicuramente meno impegnativa, fingendo di ignorare, magari, che il fondo acquirente non avesse quell’assetto che un tempo si diceva “della locusta”, ossia che smembrava, vendeva, o svendeva, tenendo tutto il valore e buttando quello che non serviva. E pazienza se in quell’avanzo ci fossero anche i lavoratori.

Corbetta riusciva a prospettare soluzioni che mantenevano l’integrità aziendale studiando assetti societari in grado di ripartire il valore e il patrimonio generati nel tempo fra tutti gli aventi diritto. Per questo, per molti imprenditori, diventava un amico.

Perché col suo sorriso, il suo ottimismo, la sua eloquenza tutta lombarda, caratteristiche che erano saldate – un tutt’uno – con la sua straordinaria competenza, infondeva anche un’energia positiva a questi passaggi e le aziende, non solo non si frazionavano inutilmente, ma ripartivano di grande lena, con la nuova generazione alla guida.

Il ricordo dell’Aidaf

L’Associazione italiana delle imprese familiari – Aidaf, che aveva contribuito a fondare, gli era grata di questo impegno, che era culturale oltre che tecnico-scientifico. «Anima, cuore e testa di Aidaf dal primissimo giorno: Guido non solo ne è stato, con Alberto Falck, ideatore e fondatore, ma l’ha accompagnata con dedizione, competenza e passione uniche fino al suo ultimo giorno», ha scritto la presidente Cristina Bombassei nella pagina che la Bocconi ha messo a disposizione per i messaggi di cordoglio.

L’apertura all’affido

Chi scrive gli era diventato amico, invece, perché, da 10 anni, condivideva con lui lo stesso cammino di padre affidatario. Con quattro figli già grandi, insieme alla moglie, Rossella Zona, Guido aveva infatti intrapreso il cammino dell’accoglienza, aprendosi all’affido di una bambina molto piccola.

Ai raduni mensili dell’Associazione Cometa di Como, con le altre famiglie, lo incontravi mescolato fra tanti, cordialissimo sempre. Mattinate che finivano magari a mangiare una pasta al ragù in compagnia, lui che la sera prima era andato magari a cena con chi gli chiedeva un parere sul possibile delisting borsistico o sul costruire una fondazione di impresa (cose che immaginavo io, ben inteso, perché la sua discrezione era proverbiale).

Le fatiche e le gioie di un’esperienza

Quando lo sentivi parlare, davanti a tutti, delle gioie e delle fatiche dell’affido, senza infingimenti, con la vibrazione commossa di un uomo che si era messo in gioco a 55 anni, intuivi perché i capitani di industria, perché gli eredi di schiatte industriali che han fatto la storia della nostra impresa, lo ricercassero, oltre al motivo della sua preparazione: perché in quell’accademico, in quel tecnico di alto profilo (fra i primi 13 studiosi più influenti al mondo nel family business, ha detto una ricerca recente), c’era una umanità grande. E una fede solida. L’ha rammentata, con parole tutt’altro che di circostanza, anche il presidente del suo ateneo, Andrea Sironi: «Ricordo non solo le sue qualità accademiche e professionali ma anche la sua leadership naturale, guidata dall’empatia, dalla cura verso gli altri guidata dalla sua fede, dal suo spirito di squadra, dalla sua capacità di coinvolgere e motivare i giovani».

La foto di apertura è di Stefano Cavicchi/LaPresse.

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