” Misurare non significa prendere passivamente atto di un dato materiale con un atteggiamento di venerazione che trasforma quest’ultimo in una sorta di idolo oggettivistico, ma privilegiare – con piena consapevolezza – un certo aspetto della realtà piuttosto che un altro, in vista di certi scopi e di certe convinzioni. Perché dunque ostinarsi a ritenere che è impossibile misurare o quantificare ciò che è qualitativo? ” (Zamagni)
Convinto di questa impostazione credo che, alla luce delle innumerevoli competition in ambito culturale alimentate dall’interesse di imprese e fondazioni, delle azioni di policy del Governo Italiano (Decreto Valore Cultura) e delle linee di finanziamento europee (Europa Creativa), sia indispensabile percorrere la strada verso la costruzione di un indicatore del “valore aggiunto culturale” o di un set di indicatori per misurare la produzione culturale in una prospettiva di flusso e non di stock. (ParadoXa 2010). Un set di indicatori utili ad introdurre una distinzione tra beni culturali e attività culturali e per rendere visibile (e valutabile) la cultura come bene d’investimento, piuttosto che come bene di consumo.
L’Italia è l’unico Paese dell’Ue a non avere una strategia d’azione per l’industria culturale creativa. Si tratta di un aspetto particolarmente grave se consideriamo il potenziale che ha questo settore nel nostro paese.
Un recente studio di Unioncamere e della Fondazione Symbola ha calcolato, sulla base del valore aggiunto generato dalle attività culturali, quanto rende investire in cultura. Il sistema produttivo culturale vanta un moltiplicatore pari a 1,7: come dire che per ogni euro di valore aggiunto prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell’economia altri 1,7. In termini monetari, ciò equivale a dire che gli 80,8 miliardi di euro prodotti nel 2012 dall’intero sistema produttivo culturale, riescono ad attivarne quasi 133,4 miliardi
Ma il valore aggiunto della cultura va oltre al pur significativo impatto economico. Dalle ricerche, ed in particolare recuperando gli studi di Pier Luigi Sacco, emergono 5 aree nelle quali, sulla base delle evidenze empiriche già disponibili, si manifestano correlazioni virtuose e significative collegate agli effetti indiretti dell’attività culturale.
1) L’innovazione. C’è una chiara relazione tra accesso culturale e capacità innovativa di un Paese. Più un Paese dispone di persone che accedono attivamente alla cultura, più elevata è la performance in termini di innovazione prodotta di questi Paesi.
2) Il welfare, e più in generale il ben-essere. C’è una relazione fortissima tra accesso culturale e autovalutazione del benessere psicologico di una persona; una persona con più alto accesso culturale e quindi maggiore sensazione di benessere è anche una persona che ricorre meno all’utilizzo delle strutture sanitarie, determinando così un risparmio per la collettività in termini di spesa sanitaria pubblica.
3) Sostenibilità. Emerge ad esempio un rapporto molto forte tra accesso culturale ed efficienza della raccolta differenziata: più le persone accedono alla cultura e più sono in grado di classificare meglio i rifiuti e sono più motivate a effettuare la raccolta differenziata perché comprendono meglio la relazione che esiste tra le microscelte individuali e le scelte collettive.
4)Imprenditorialità e Capacità di attrarre risorse sul territorio. La correlazione fra la presenza di distretti ad alta valenza culturale è all’origine della competitività di molti distretti industriali (Unioncamere 2013); la densità di esperienze e investimenti culturali è in molti casi il meccanismo generativo del vantaggio competitivo di un territorio e della sua economia.
5) Coesione e inclusione sociale. C’è un rapporto molto forte tra accesso culturale e disponibilità alle relazioni interculturali; non è un caso che molte cooperative sociali o associazioni individuino, in maniera crescente, le attività culturali come modalità più idonee per personalizzare i propri servizi, per alimentare percorsi di inserimento lavorativo o per costruire piattaforme di rigenerazione urbana mediante il recupero e la destinazione di asset comunitari in un ottica culturale.
Serve quindi una Visione Olistica del valore per fare della cultura un asset imprescindibile per lo sviluppo e per elaborare quegli indicatori oggi indispensabili per rendere permanenti i benefici generati da quelle che sono delle vere e proprie Cor-Relazioni ..Virtuose.
Buon Anno!
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