Sostenibilità

Copenhagen dalla A alla Z

Obiettivi, aspettative, partecipanti: cosa accadrà nella capitale danese

di Redazione

Se l’obiettivo ormai è chiaro, contenere entro 2°C il riscaldamento del pianeta rispetto ai livelli del 1990, non altrettanto lo sono le modalità con cui i governi si attrezzeranno per realizzarlo. Per scoprirlo, occhi puntati su Copenhagen: dal 7 al 18 dicembre la capitale danese ospiterà la quindicesima Conferenza delle Parti (COP15) delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Numeri e partecipanti
Sono oltre 15mila, tra delegati, funzionari, osservatori e giornalisti, assieme ai capi di Stato e ai membri di governo, i partecipanti attesi al più importante vertice sul clima dopo quello di Kyoto. Ad oggi 192 Paesi hanno siglato la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Unfccc): i Paesi dell’Ocse e le altre nazioni industrializzate, fra cui la Russia, a cui sono stati assegnati obiettivi di riduzione delle emissioni in base al Protocollo di Kyoto, e i Paesi in via di sviluppo, che al summit giapponese accettarono molte responsabilità, ma senza obiettivi vincolanti. Sono infine 49 i Paesi meno sviluppati, tenuti in particolare considerazione per la loro limitata capacità di far fronte ai cambiamenti climatici.

Gli Osservatori
Alcuni Paesi, invece, ma anche diverse agenzie, organizzazioni intergovernative e non governative, parteciperanno al grande appuntamento danese per il futuro del pianeta in veste di Osservatori. Anche la società civile salirà dunque sul treno di Copenhagen assieme ai grandi della Terra, con ben 985 ong ammesse a bordo. La People’s Climate Action è nata appositamente per riunire e coordinare le organizzazioni che, fuori dai tavoli ufficiali, vogliono far sentire la loro voce.

Cosa si decide
Copenhagen può e deve ottenere risultati migliori di Kyoto. Il protocollo siglato nel 1997 nell’omonima cittadina giapponese, primo passo storico per il controllo delle emissioni di gas a effetto serra, scadrà a fine 2012. La strada verso un buon accordo sul clima non è certo in discesa, ma quel che è sicuro, è che le possibilità di raggiungere un testo ambizioso in grado di proseguire e perfezionare il percorso iniziato a Kyoto sono superiori rispetto a dieci anni fa. In Australia e Usa sono oggi al governo leader più sensibili sul fronte ambientale e in Giappone, dopo i recenti risultati elettorali, si prevede un’inversione di tendenza in favore di un maggiore impegno sul clima. Cruciale anche l’ammorbidimento registrato negli ultimi mesi della Cina. L’Europa, infine, che ha già approvato una riduzione delle emissioni del 20% per il 2020, attende proprio da Copenhagen un segnale positivo per alzare ulteriormente i propri obiettivi fino al 30%.

Le aspettative
Un’ambiziosa riduzione delle emissioni nei Paesi industrializzati
La Conferenza sul clima di Bali del 2007 suggerì che le nazioni industrializzate mirassero a ridurre le loro emissioni del 25-40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, fino a raggiungere un 80% nel 2050. Ad oggi, tuttavia, gran parte delle promesse dei Paesi sviluppati è rimasta ben al di sotto di questi valori. Da Copenhagen si attendono obiettivi più ambiziosi, in linea con gli imperativi della scienza, da realizzarsi nel quadro della cooperazione internazionale.
Piani d’azione nazionali nei Paesi in via di sviluppo
Nonostante le loro emissioni pro capite rimangano comunque basse se paragonate a quelle delle nazioni industrializzate, il principale apporto all’aumento delle emissioni globali nei prossimi decenni arriverà proprio dai Paesi in via di sviluppo. Copenhagen non può prescindere dal richiedere ai Paesi poveri dei piani di sviluppo nazionali a basse emissioni di carbonio, prevedendone le modalità di supporto internazionale.
Supporto tecnologico e finanziario per i Paesi in via di sviluppo
Molti dei Paesi che maggiormente subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici, sono anche quelli meno responsabili di essi. A Copenhagen è fondamentale che le nazioni industrializzate, in base alle loro responsabilità storiche, individuino nuove risorse. Il costo della lotta ai cambiamenti climatici è stimato attorno ai 250 miliardi di dollari l’anno fino al 2020. Circa metà di questa cifra verrà investita nei Paesi in via di sviluppo. È inoltre indispensabile un rapido trasferimento di tecnologia verso le nazioni povere, in primis di quelle energetiche.
Una gestione più democratica dei fondi
Molte delle risorse destinate a contrastare i cambiamenti climatici non hanno raggiunto i Paesi in via di sviluppo in modo efficace. Da Copenhagen si attendono nuove istituzioni in grado di ottimizzare la gestione e l’applicazione dei budget, e di garantire un sistema trasparente di monitoraggio e verifica. Il tutto ispirato da un principio di equità, nel rispetto cioè delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, includendoli nei meccanismi decisionali.


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