Cop28

Solo un’azienda su dieci calcola le proprie emissioni

La ricerca Ipsos per conto del Global compact network Italia mette in evidenza le difficoltà delle imprese nel fronteggiare i cambiamenti climatici per la parte di loro competenza. Sono tutti d’accordo che la sostenibilità sia importante, ma poi ci si perde sull’azione. Anche per motivi di scarsa convenienza economica percepita

di Nicola Varcasia

Le aziende italiane hanno intenzione di fare qualcosa per affrontare il cambiamento climatico? E se sì, che cosa? Non risolvere il problema da sole, certo. Ma almeno lavorarci seriamente, forse più di quanto stanno facendo, sì. In un contesto europeo che sta scegliendo – pur tra varie oscillazioni – di progredire lungo i binari della digitalizzazione e, appunto, della sostenibilità, la questione assume una rilevanza e una convenienza economica e sociale sempre più importante. Tanto più adesso, con l’arrivo delle nuove direttive sulla rendicontazione di sostenibilità che inizieranno a produrre i propri effetti sulle grandissime aziende già dal prossimo anno e, a cascata, sulle medie e via via più piccole negli anni a venire.

Pochi obiettivi

Ecco perché al di là delle considerazioni geopolitiche finali sulla Cop28 di Dubai, sono molto interessanti i numeri proposti dalla ricerca L’impegno delle aziende italiane per il net-zero realizzata da Ipsos e dal Network italiano del Global compact delle Nazioni uniteUncg, la grande iniziativa di sostenibilità che coinvolge migliaia di imprese in tutto il mondo. Solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, avverte lo studio presentato il 10 dicembre proprio a Dubai presso il padiglione Italia, con solo il 17% di esse che specifica di aver fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti.

Più engagement

Come valutare questi dati? Significa che le imprese si muovono solo quando sono costrette? E che cos’altro bisogna fare per comprendere il potenziale insito nella transizione ecologica? Di fatto, le comunicazioni aziendali sono ridondanti di impegni e di risultati in questo senso, ma a ben vedere, si tratta allora solo di una esigua minoranza? «I dati della ricerca ci dicono che tra le aziende italiane c’è ancora molto da fare, il rapporto tra chi ha adottato un piano sul clima e chi non lo ha fatto è di uno a cinque, decisamente basso considerato il peso della nostra economia. Il ruolo del settore privato è cruciale, ma è necessario sviluppare e implementare iniziative di supporto che possano guidare le imprese nell’ambizioso percorso verso il net-zero.

Sono ancora poche le aziende ad aver essere chiaro il concetto di sostenibilità ambientale – Fonte: Ipsos

Dobbiamo lavorare da un lato per consolidare e accelerare i progressi delle aziende virtuose e dall’altro per coinvolgere le imprese che non hanno ancora affrontato la questione climatica», ha dichiarato Marco Frey, presidente Global compact network Italia.

Sogni e programmi

Per Daniela Bernacchi, direttore esecutivo dell’organizzazione, «non c’è dubbio che nel mondo aziendale esista una forte consapevolezza del tema ambientale». L’88% delle imprese italiane riconosce, infatti, che la sostenibilità dovrebbe orientare tutte le scelte aziendali ma, al tempo stesso, solo una su dieci afferma di avere «molto chiaro» il concetto stesso di sostenibilità. «Un limite che si traduce in una mancanza di iniziative sul clima», – aggiunge Bernacchi, che sottolinea invece come «i riscontri pervenuti dalle aziende che fanno parte del Global compact rivelino differenze significative rispetto all’universo di riferimento».

Un piano strutturato per fronteggiare il climate change è ancora un lusso per molte aziende

Tutta via, se si considerano solo le risposte degli aderenti italiani a Ungc, il 64% di essi ha infatti già definito un programma di contrasto al cambiamento climatico (contro una media nazionale del 22%) e otto aderenti su 10 calcolano le proprie emissioni (contro una media nazionale di un’impresa su dieci).

Realismo politico

Il Ministro dell’ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, nell’introduzione a sua firma della ricerca, che è stata stilata sulla base di 1.119 interviste su un campione rappresentativo di aziende italiane con almeno dieci addetti in Italia, ha precisato: «A valle dell’impegno già in essere delle grandi aziende, l’obiettivo è integrare le piccole e medie in un percorso di transizione industriale nazionale: questo dovrà tenere conto di misure a supporto che riguardano l’accesso alla finanza e le agevolazioni, il tema delle competenze tecniche e la competitività nel lungo periodo».

Troppo poche

La ricerca registra un buon livello di coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero. Fra i non aderenti al Global compact, il 17% delle imprese intervistate ha definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Di queste, solo un’azienda su dieci è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni. Rispetto alle imprese partecipanti al progetto Onu, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle 8 imprese su 10 che hanno definito target net-zero o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio.

Comanda il portafoglio

Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale. Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici e per un altro 27% pesa invece la mancanza di figure professionali competenti.  Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni nelle aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% delle imprese è oggi presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni.

I settori

Se si guarda ai dati per settore rispetto alla conoscenza del tema ambientale, dalla ricerca emerge che è nella moda, nel food e nelle utilities che si riscontrano i livelli di conoscenza maggiori. In alcuni settori, come quello delle costruzioni (settore ad alto impatto in termini di emissioni), le conoscenze sono, invece, piuttosto sommarie e poco diffuse. Automotive e utilities risultano i settori più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione dell’adozione di comportamenti sostenibili da parte delle aziende.

Male il retail

Per quanto riguarda invece l’impegno e le iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities quello impegnato in modo più assiduo e strutturato, sia in iniziative di contrasto al cambiamento climatico, che in iniziative di sensibilizzazione interne rivolte alla propria popolazione aziendale. Questo si traduce in attività e impegni concreti (calcolo impronta carbonica e definizione di specifici obiettivi di riduzione delle emissioni. Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro per questo tipo di iniziative.

La foto in apertira è tratta dal sito della cop28

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