A un mese dall’apertura della COP 21, la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici, le cose non sembrano mettersi per il meglio: la bozza di dichiarazione finale ripiega al ribasso, i veti incrociati tra Paesi si sprecano e le Organizzazioni della Società Civile non sono ammesse alle sedute negoziali.
Nonostante le dichiarazioni di tutti i governi circa la necessità di operare con efficacia per mitigare l’impatto devastante degli eventi climatici condizionati dal crescente livello di inquinamento antropico, e sebbene la comunità scientifica sia ormai quasi unanimemente ad invocare azioni urgenti in tale direzione l’ultimo round negoziale in vista della Conferenza di Parigi ha lasciato grandi perplessità agli attenti osservatori delle organizzazioni della società civile internazionale.
Dopo essere stati esclusi, come purtroppo d’abitudine, dalla sessione di settembre dell’Assemblea Generale ONU dedicata ai cambiamenti climatici, le Organizzazioni di Società Civile non sono state ammesse nemmeno all’ultimo vertice tenutosi a Bonn lo scorso 23 ottobre e ora si chiedono se, vista l’assenza di reazioni da parte del Segretario Generale Ban Ki Moon, sarà loro concesso di partecipare alla COP 21. Il governo del Giappone, spalleggiato in sordina da quelli di Washington e Mosca, è stato inamovibile nel richiedere l’esclusione della società civile e ciò nonostante la protesta manifesta dei Paesi del Gruppo dei 77 al quale aderiscono anche Cina e Messico.
La strana coincidenza di queste posizioni con i dati che emergono dalle dichiarazioni di impegno rese pubbliche da oltre 150 Paesi lascia spazio al dubbio della non trasparenza ricercata da chi sa di essere in evidente difetto come quelli del G8. Così, mentre Paesi come Cina, Indonesia, Kenya e Isole Marshall si sono dette pronte ad addirittura superare i target fissati per ridurre le proprie emissioni, e quando India e Brasile hanno previsto livelli di mitigazione in linea con gli obiettivi richiesti dalla comunità scientifica, il Giappone si impegna per una decima parte, e Stati Uniti e Unione Europea si dicono preparate a contribuire per un quinto del previsto. Ma il risultato peggiore questa volta lo fa registrare il Governo di Mosca. Oltre ad aver presentato un piano di intenti al quanto fumoso e poco comprensibile, a Bonn si è chiaramente pronunciato per la necessità di una « Parigi bis », dichiarando implicitamente la propria convinzione circa gli esiti della conferenza di dicembre.
Tuttavia, come abitudine, il testo finale del Vertice di Bonn è stato adottato all’unanimità dai Governi partecipanti. Segno evidente che ancora una volta i veti incrociati e le mediazioni al ribasso volute dai Paesi ricchi hanno avuto la meglio sulla ragione e la responsabilità richieste da una situazione ormai prossima al collasso in caso di mancato intervento.
Nella storia dei Vertici e della Conferenze internazionali si sono anche avuti rush finali di negoziato forieri di imprevisti e lusinghieri cambiamenti di posizione, come nel caso della Conferenza di Accra sull’efficacia degli Aiuti che nella giornata riservata ai Ministri di governo nel corso della Conferenza ha saputo migliorare significativamente il testo proposto dai negoziatori e dagli Sherpa. A questo punto, per la COP 21 di Parigi, non resta che invocare un simile evento, pena l’ennesimo rinvio di una partita che pare non avere più tempo a disposizione.
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