Coopi, compleanno all’insegna del rinnovamento
L'ong compie 48 anni e si prepara alla sfide future all'insegna del decentramento e dell'innovazione. Il direttore Ennio Miccoli spiega come
Coopi compie gli anni. Sono 48 anni che l'ong combatte in prima linea per lo sviluppo e la cooperazione nel sud del mondo. Ed è una prima linea in cui è sempre necessario cambiare, per adeguarsi ai mutamenti globali che corrono veloci (e anche alla logica spietata dei tagli all'aiuto allo sviluppo pubblico).
«Vogliamo essere», spiega Ennio Miccoli, direttore generale di Coopi «un'organizzazione forte, affidabile, trasparente, capace di essere presente nei cambiamenti che stanno avvenenendo nel mondo della cooperazione internazionale».
Un cambiamento di cui si è discusso a marzo nel corso dell'annuale Coopi Meeting, a Milano e che si può declinare secondo una serie di parole chiave, che ci illustra lo stesso Miccoli.
DECENTRAMENTO. «Vogliamo avere un'organizzazione sempre più attore nei paesi in cui lavoriamo», spiega Miccoli. «È una politica che abbiamo avviato già da tempo, basata sul decentramento delle nostre attività, nei 24 paesi in cui siamo presenti: cerchiamo di decentrare il momento decisionale rispetto alle attività che vengono svolte, abbiamo avviato anche il decentramento della parte gestionale delle attività di cooperazione.
Nei prossimi due anni saranno create una serie di coordinamenti regionali, uno in Africa orientale, uno in Africa centrale e uno per il Sudamerica, che saranno composti di espatriati e di personale locale. La sede centrale svolgerà sempre più un lavoro di supporto ai coordinamenti regionali, sulla stesura dei progetti, sulla gestione delle risorse umane, sul controllo e monitoraggio.
È un processo inevitabile, anche perché i nostri principali finanziatori hanno decentrato: molti dei nostri progetti vengono finanziati direttamente nei paesi in cui siamo presenti, identificati, scritti, presentati e negoziati nel paese».
PARTENARIATO. «Anche il partenariato è fondamentale e deve essere cambiato», spiega ancora Miccoli. «Per troppo tempo lo abbiamo inteso come collaborazione puntuale, su un progetto da realizzare insieme. Una visione limitante. Si deve cominciare a pensare a pensare a partenariati di tipo strutturale, andando a individuare, nei paesi dove siamo presenti, partner locali con cui avviare collaborazioni strutturali, per operare insieme e mettere in moto processi di sviluppo, il che che siginifica non solo lavorare nel paese dove c'è il progetto e la realtà locale, ma anche in altri paesi, in una nuovo paradigma sud-sud che valorizzi le realtà locali.
DIVERSIFICAZIONE. «Già da molto tempo», dice Miccoli, «visti anche i continui tagli all'aiuto pubblico allo sviluppo, abbiamo cercato di diversificare i nostri interlocutori istituzionali per ottenere i finanziamenti dei progetti. Eravamo una delle Ong più coinvolte dai progetti del ministero degli Esteri, oggi abbiamo ridotto la quota al 5%. Il resto arriva da Agenzie internazionali, Unione Europea, finanziatori pubblici e privati.
Anche il sostegno a distanza è un canale importante, seppure non prevalente. Ci siamo arrivati per ultimi tra le Ong storiche italiane, e ci siamo arrivati con un approccio diverso: non sostegno a distanza diretto, ma andando ad appoggiare realtà locali che si occupano di bambini. Un approccio che fa crescere anche organizzazioni locali. Il sostegno a distanza ci ha permesso di entrare in contatto con alcune migliaia di italiani, di farci conoscere, avviare un dialogo, si tratta di persone con cui riusciamo a fare informazione su una serie di problematiche legate allo sviluppo».
INNOVAZIONE E SPERIMENTAZIONE. «Quello che sta avvenendo», dice Miccoli, «è che organizzazioni come la nostra dovranno occuparsi di cose nuove, per esempio il tema ambientale, la green economy. Stiamo sperimentando la possibilità di poter avviare attività profit che possano potenziare realtà economiche locali, nella logica dell'impact investment.
Tutto il mondo del non profit si è chiuso per troppo tempo in un recinto ideologico che evitava il contatto con le realtà profit. Invece, mantenendo i nostri principi etici e morali, io credo che anche attività profit possano essere utilizzate per avviare processi di sviluppo. Non sono solo nostre idee, sono anche i nostri interlocutori locali che ce lo chiedono».
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